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== ''Le diable archiviste'' ==
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Queste note sono un primo risultato del [https://archiviopug.org/2025/04/19/il-memoriale-di-pierre-favre/ seminario dedicato all'edizione del ''Memoriale''] di Pierre Favre realizzata da Michel de Certeau (2025).
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::::::::::::::::::::::<small>Uno dei luoghi comuni più triti di celebrazione dei “classici”, che finisce per relegarli in un vuoto limbo, fuori del tempo e dello spazio, […] consiste paradossalmente nel descriverli come nostri contemporanei e nostri vicini, i più vicini dei vicini, tanto contemporanei e tanto vicini da non farci dubitare neppure per un momento della comprensione apparentemente immediata (ma in realtà mediata da tutta la nostra formazione) che crediamo di avere delle loro opere. (''Méditations pascaliennes''. Pierre Bourdieu)</small>
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=== Notitia codicum ===
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* Secondo gli editori dei ''[https://digital.staatsbibliothek-berlin.de/werkansicht/?PPN=PPN680166025 Monumenta Fabri]'' (MF) (1914), il ''Memoriale I'', contrassegnato nei {{Smallcaps|MF}} con la lettera '''R''' (''codex 9''), oltre alle segnature delle pagine, i singoli quaderni, undici per la precisione, sono contrassegnati da altrettanti numeri.<br>
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Non tutti i fascicoli sono composti dallo stesso numero di fogli. Questo codice del ''Memoriale'' fu usato principalmente da Niccolò Orlandini (1553-1606)<ref>[https://mateo.uni-mannheim.de/camenahist/hsj/t1/HSJ_1_1.html ''Historia Societatis Iesu, pars prima''], 1615.</ref> e da  Francesco Sacchini (1570-1625)<ref>''[https://mateo.uni-mannheim.de/camenahist/hsj/t2/HSJ_2_1.html Historia Societatis Iesu, pars seconda]'', 1614.</ref>. Sebbene è stato molto probabilmente composto a Roma, non c'è certezza che sia stato copiato da un autografo che non si conserva.<br>
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Il fatto che alcuni frammenti, sebbene pochi, siano inseriti in luoghi diversi da vari apografi, sembra indicare che siano stati scritti da Fabro su fogli sciolti e posti in luoghi diversi dai copisti.<br>
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* Il ''Mem. II'', indicato con la lettera '''H''' nello ''[[Memoriale_-_Manuscripts|stemma codicum]]'', è la terza parte del codice precedente. <br>
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La diversità della carta e delle segnature delle pagine mostra che un tempo era un codice separato dal primo.<br>
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A fol. XII si legge: «Memoriale P. Petri Fabri hispanice» ecc. Di fatto, questo esemplare contiene molte più parti scritte in spagnolo rispetto al precedente. Poiché, le note marginali di Sacchini si trovano in tutto questo codice e solo nelle ultime pagine del precedente, che qui mancano, alcuni ritengono che queste parti siano state scritte da Fabro stesso in spagnolo.
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Tuttavia, il modo di scrivere lo spagnolo, decisamente più curato di quello usato di solito da Fabro, e i numerosi errori, che forse un amanuense italiano ha introdotto, suggeriscono il contrario.  Il codice termina al f. 236, con queste parole: «qui multi sunt audiueram»<ref>Vedi [[Page:FC_1042.djvu/463|il testo qui]].</ref>. Segue una antica annotazione [f. 236] di un'altra mano: «Multa desunt usque ad particulam anni 1546<ref>Potrebbe leggersi: "Ci sono molte lacune fino a una parte del 1546."</ref>.» Sul retro dell'ultimo foglio non segnato, un'altra mano antica ha scritto: «Para el Padre [[Name::Spinelli, Pietro Antonio|Pedro Antonio Spinello]] en Nápoles.»<br>
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L'esemplare ''Mem. 10'' della MF ed esistente nella Biblioteca Nazionale di Lisbona (cod.6183) reca l'iscrizione «Pera se ler no refeytorio d'[[Place::Universidade do Espírito Santo|Evora]]. 1587». È probabile che esista un altro manoscritto con questa iscrizione, giacché attualmente in quel codice non appare questa indicazione. Inoltre, ''Fontes Narrativi I'' (1943) annovera sei codici ''spagnoli''. Uno a Roma s''imul ligato'' con il latino '''R''', quattro in Portogallo, nel Ministério dos negócios estrangeiros, altri due nella Biblioteca Nacional de Portugal (3537 e 6181<ref>Probabilmente si riferisce al codice 6183.</ref>) e per ultimo, uno che dovrebbe recare l'iscrizione. Di questo, però, gli editori  non danno la collocazione. Il sesto si trova oggi all'archivio della Compagnia ad Alcalá de Henares. <br><br>
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Altra edizione parziale del ''Memoriale'' in [https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=uc1.31210011769955&seq=153&q1=''Memoriale Monumenta Ignatiana. Series quarta. Scripta de S. Ignatio. Fontes narrativi de Sancto Ignatio de Loyola et de Societatis Iesu initiis'' v.1] (1943). Gli editori, seguendo quelli del 1914, insistono che l'''originale'' sia stato scritto in latino. Secondo loro, ''i sentimenti dell'anima sono solito scriversi nella lingua materna o al meno in quella che, al tempo di Favre era per gli eruditi la lingua materna, il latino''. Aggiungono che non esiste al momento nessun esemplare antico in francese.<br>
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Un altro indizio che il ''Memoriale'' fosse stato scritto in latino, può essere il fatto che l'esemplare ispano-complutense (''Varia Historia'', I, Archivo Alcalá SJ) a fol. 44r, dopo una parte del testo trascritta interamente in spagnolo, quando volle riassumere il resto, scrisse tra l'altro: «en el qual año, día de los Sanctos cinco mártyres franciscanos de Marruecos, que es a diez y seis de Enero, dice en su Memorial que interfuit divinis officiis in ecclesia Sanctae Crucis Conimbricensis, ubi servantur eorum corpora»... Questa citazione latina, sebbene riassunta in un'opera altrimenti scritta in spagnolo, sembra indicare che l'abbreviatore avesse davanti agli occhi il testo latino.
  
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=== ''Sed ego non sum ego''<ref>Ambrosius, ''De Poenitentae'', Liber II, cap. 10.</ref> ===
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Ad ogni modo, le opinioni che il testo originale sia stato scritto da Fabro in spagnolo sono molto diffuse. In parte, si nutrono dell'idea che la comunicazione orale tra Fabro e alcuni dei suoi compagni (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio) fosse stata in spagnolo. Questa idea rinforza l'approccio al ''Memoriale'' come se si trattasse del prodotto di una coscienza individuale. Di conseguenza, nel testo potrebbero riconoscersi sentimenti, pensieri, ecc. Queste teorie, come succede con gran parte delle analisi secondo certi paradigmi della storia culturale, si orientano a partire del concetto di ''rappresentazione''. Una alternativa a questo approccio epistemico è introdurre il concetto di ''comunicazione'', giacché le descrizioni alle quali si riferisce la storia culturale sono manifestazioni testuali, vale a dire, comunicazioni.<br>
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Qui dovremmo superare un concetto ingenuo di comunicazione in quanto trasmissione di un emittente a un ricevente. Comunicazione è la sintesi di tre elementi: l'informazione, l'atto del comunicare,  e la comprensione (accettare o rifiutare). Questa sintesi selettiva fa apparire la comunicazione come altamente improbabile. Il linguaggio non basta per garantire la comprensione. Di volta in volta il sistema sociale provvederà diversi ''media'' per assicurare l'atto di comprendere: la retorica (persuasione), la morale, come la verità, il potere, ecc.  In questa ottica sarà determinante, per l'analisi testuale, la ricezione da parte di ''ego'' (ricevente) e non tanto di ''alter'' (emittente). Un testo, in quanto comunicazione, è tale in quanto ricevuto. <br>
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L'ipotesi di un originale ''autografo'' perso, indica che a partire del XX secolo il testo è stato osservato secondo distinzioni di tipo filologico che non interessavano ai coetanei del ''Memoriale'' né ai suoi successivi lettori. Come esempio dei complessi rapporti tra semantica e struttura sociale, si pensi allo slittamento semantico del concetto di ''copia'' e di conseguenza di quello di ''originale''. ''Copia'' stava a indicare una abbondanza associata normalmente alla quantità di argomenti a disposizione. <br>
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Quando il concetto devierà per indicare un ''esemplare identico'' si modificherà anche il concetto di ''originale'' che, invece di indicare l'origine dal quale proviene qualcosa, individuerà ciò che non ha precedenti nel passato. Questo determina una diversa considerazione del concetto di autografia riguardo le opere storiche e letterarie della prima modernità. Nella prima modernità manca ancora la idea di una dignità intrinseca dell'autografo così come succederà nella modernità avanzata. <br>
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Dal testo non è possibile risalire alla mano di chi scrive, né dalla mano alla coscienza dello scrittore. Lo storico considera soltanto le comunicazioni, i documenti, per lui la comunicazione non può avere un alito cattivo. <br>
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L'insistenza dell'autografo denota anche una centralità dell'individuo nella comunicazione e supporrebbe la possibilità di accesso (o al meno il desiderio) alla coscienza di ''alter''. Il rapporto tra coscienza è comunicazione è, in questa concezione, simmetrico<ref>[...] la relazione tra coscienza e comunicazione non può essere compresa in modo asimmetrico, come richiederebbe la concezione usuale. La coscienza non è né causa né origine, non è né sostanza né soggetto della comunicazione. La comunicazione non avviene in modo tale che sia il soggetto a prendere per primo la decisione di comunicare, portando poi in pratica tale disegno, in modo che, infine, come effetto di questa catena causale, qualcuno ascolti o legga ciò che è stato detto o scritto. N. Luhmann, ''La ciencia de la sociedad,'' 49.</ref>
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L' ''io'' che appare nel testo del ''Memoriale'' non corrisponde a un ''io'' psichico, vale a dire all'operazione di una coscienza individuale ma alla aspettativa con la quale il sistema sociale considerava l'''io''.  L' ''io'' in questione è un ''io'' comunicativo che deve essere modellato secondo la legge evangelica prevista per il discepolo il quale deve rinnegare se stesso.<br>
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È evidente che ogni processo comunicativo presuppone individui che lo inizino. Ma l'utilizzo che si fa dell' ''io'' corrisponde all’antico concetto di ''persona''<ref>"Persona est conditio, status, munus, quod quisque inter homines et in vita civili gerit" (Forcellini).</ref> e non di individuo. Così N. Luhmann: ''Ma allora si dovrebbe parlare di persone nel loro vecchio e stretto senso, e non di individui (esseri umani, coscienza, soggetti, ecc.). I nomi e i pronomi utilizzati nella comunicazione non hanno la minima analogia con ciò che indicano. Nessuno è 'io'. E lo è così poco come la parola mela è una mela''<ref>Luhmann, Niklas ''Complessità e modernità. Dall'unità alla differenza'', p. 63.</ref>. Un testo del ''De Poenitentiae'' di Sant'Ambrogio è particolarmente indicativo:
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::: ''L'uomo rinneghi se stesso e si trasformi completamente, come quel giovane di cui parla la favola. Questi, essendo andato in terra straniera dopo aver avuto una relazione con una prostituta, e quindi essendo ritornato dimentico di quell'amore, incontrò successivamente la vecchia amante la quale, stupita che non le avesse rivolto la parola, pensò di non essere stata riconosciuta. Allora, incontrandolo una seconda volta, gli disse: 'Sono io'. Ma egli le rispose: 'Ma io non sono più io'''.<br>
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Questo testo di Sant'Ambrogio ebbe ancora una ricezione da parte di San Francesco di Sales:
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:::''Il mutamento del luogo è molto utile per calmare la febbre e l'agitazione causate sia dal dolore che dall'amore. Il ragazzo di cui parla S. Ambrogio nel II libro della Penitenza, ritornò da un lungo viaggio completamente guarito dai futili amori che l'avevano attanagliato prima; alla sciocca amante che, incontrandolo gli disse: Non mi conosci? sono sempre la stessa! Sì, certo, rispose, ma sono io che non sono più lo stesso. La lontananza aveva operato in lui quel felice mutamento.''<ref>S. François de Sales, ''Introduction à la vie dévote''. Lyon chez Pierre Rigaud, 1609, troisiéme partie, Cap. XXI. </ref><br>
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Questo «io narrativo» è moralizzante e moralizzato, che nel caso del ''Memoriale'', è una morale ancora indistinta dalla religione. In qualche modo, il testo del ''Memoriale'' è ancora radicato in un mondo medievale che comunque si evolve velocemente.<ref>In questo senso può anche leggersi la distinzione tra ''personaggio rotondo e piano'' in W. Ong: Opposto al personaggio "rotondo" [della scrittura] c'è il "piano", il tipo di figura che non stupisce mai il lettore, ma piuttosto lo delizia recitando esattamente come ci si aspetta che faccia. Ora sappiamo che il personaggio "pesante" (o "piatto") deriva originariamente dalla narrazione orale primaria, che non può offrire personaggi di altro tipo. Il personaggio tipo, serve sia per organizzare la linea della trama che per gestire gli elementi non narrativi che si presentano nella narrazione. Ong, Walter, ''Oralità e scrittura''.</ref>
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Questo «io persona» è quello che si ritrova anche in Hobbes:<br>
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:::''La parola « persona» è latina; al posto di essa i Greci hanno πρόσωπον che significa il viso, così come «persona» in latino significa il travestimento, l'esterna apparenza dell'uomo, tale quale appare truccato sul palcoscenico, e spesso, in senso più ristretto, quella parte che nascondeva il viso, come la maschera; e dal palcoscenico la parola è stata presa per definire chiunque rappresenti parole ed azioni, sia in tribunale che in teatro. Una persona è dunque lo stesso che un attore, sia sulla scena che nella conversazione comune, e l'atto dell'impersonare è l'agire od il rappresentare sè stesso o gli altri, e si dice che chi rappresenta altri sostiene la parte di quella persona od agisce in suo nome''<ref>Hobbes, Th, ''Leviatano'', parte prima, cap XVI. </ref>.
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A partire del testo del ''Memoriale'' sarà possibile seguire il transito evolutivo dell' ''io'' poi declinato a partire da altre distinzioni come ''sincerità'' e dopo ancora dall' ''autenticità'' che saranno paradossalmente incomunicabili. Per tanto, l'individuo sarà incapace di fidarsi di sé stesso. Alla luce di queste distinzione la «vera devozione» non sarà  possibile comunicarla intenzionalmente.<ref>Inevitabile a questo riguardo l'opera di Lionel Trilling, ''Sincerity and authenticity''.</ref>
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Revision as of 09:14, 25 June 2025

Le diable archiviste

Queste note sono un primo risultato del seminario dedicato all'edizione del Memoriale di Pierre Favre realizzata da Michel de Certeau (2025).

Uno dei luoghi comuni più triti di celebrazione dei “classici”, che finisce per relegarli in un vuoto limbo, fuori del tempo e dello spazio, […] consiste paradossalmente nel descriverli come nostri contemporanei e nostri vicini, i più vicini dei vicini, tanto contemporanei e tanto vicini da non farci dubitare neppure per un momento della comprensione apparentemente immediata (ma in realtà mediata da tutta la nostra formazione) che crediamo di avere delle loro opere. (Méditations pascaliennes. Pierre Bourdieu)

Notitia codicum

  • Secondo gli editori dei Monumenta Fabri (MF) (1914), il Memoriale I, contrassegnato nei MF con la lettera R (codex 9), oltre alle segnature delle pagine, i singoli quaderni, undici per la precisione, sono contrassegnati da altrettanti numeri.

Non tutti i fascicoli sono composti dallo stesso numero di fogli. Questo codice del Memoriale fu usato principalmente da Niccolò Orlandini (1553-1606)[1] e da Francesco Sacchini (1570-1625)[2]. Sebbene è stato molto probabilmente composto a Roma, non c'è certezza che sia stato copiato da un autografo che non si conserva.
Il fatto che alcuni frammenti, sebbene pochi, siano inseriti in luoghi diversi da vari apografi, sembra indicare che siano stati scritti da Fabro su fogli sciolti e posti in luoghi diversi dai copisti.

  • Il Mem. II, indicato con la lettera H nello stemma codicum, è la terza parte del codice precedente.

La diversità della carta e delle segnature delle pagine mostra che un tempo era un codice separato dal primo.
A fol. XII si legge: «Memoriale P. Petri Fabri hispanice» ecc. Di fatto, questo esemplare contiene molte più parti scritte in spagnolo rispetto al precedente. Poiché, le note marginali di Sacchini si trovano in tutto questo codice e solo nelle ultime pagine del precedente, che qui mancano, alcuni ritengono che queste parti siano state scritte da Fabro stesso in spagnolo. Tuttavia, il modo di scrivere lo spagnolo, decisamente più curato di quello usato di solito da Fabro, e i numerosi errori, che forse un amanuense italiano ha introdotto, suggeriscono il contrario. Il codice termina al f. 236, con queste parole: «qui multi sunt audiueram»[3]. Segue una antica annotazione [f. 236] di un'altra mano: «Multa desunt usque ad particulam anni 1546[4].» Sul retro dell'ultimo foglio non segnato, un'altra mano antica ha scritto: «Para el Padre Pedro Antonio Spinello en Nápoles.»
L'esemplare Mem. 10 della MF ed esistente nella Biblioteca Nazionale di Lisbona (cod.6183) reca l'iscrizione «Pera se ler no refeytorio d'Evora. 1587». È probabile che esista un altro manoscritto con questa iscrizione, giacché attualmente in quel codice non appare questa indicazione. Inoltre, Fontes Narrativi I (1943) annovera sei codici spagnoli. Uno a Roma simul ligato con il latino R, quattro in Portogallo, nel Ministério dos negócios estrangeiros, altri due nella Biblioteca Nacional de Portugal (3537 e 6181[5]) e per ultimo, uno che dovrebbe recare l'iscrizione. Di questo, però, gli editori non danno la collocazione. Il sesto si trova oggi all'archivio della Compagnia ad Alcalá de Henares.

Altra edizione parziale del Memoriale in Memoriale Monumenta Ignatiana. Series quarta. Scripta de S. Ignatio. Fontes narrativi de Sancto Ignatio de Loyola et de Societatis Iesu initiis v.1 (1943). Gli editori, seguendo quelli del 1914, insistono che l'originale sia stato scritto in latino. Secondo loro, i sentimenti dell'anima sono solito scriversi nella lingua materna o al meno in quella che, al tempo di Favre era per gli eruditi la lingua materna, il latino. Aggiungono che non esiste al momento nessun esemplare antico in francese.
Un altro indizio che il Memoriale fosse stato scritto in latino, può essere il fatto che l'esemplare ispano-complutense (Varia Historia, I, Archivo Alcalá SJ) a fol. 44r, dopo una parte del testo trascritta interamente in spagnolo, quando volle riassumere il resto, scrisse tra l'altro: «en el qual año, día de los Sanctos cinco mártyres franciscanos de Marruecos, que es a diez y seis de Enero, dice en su Memorial que interfuit divinis officiis in ecclesia Sanctae Crucis Conimbricensis, ubi servantur eorum corpora»... Questa citazione latina, sebbene riassunta in un'opera altrimenti scritta in spagnolo, sembra indicare che l'abbreviatore avesse davanti agli occhi il testo latino.

Sed ego non sum ego[6]


Ad ogni modo, le opinioni che il testo originale sia stato scritto da Fabro in spagnolo sono molto diffuse. In parte, si nutrono dell'idea che la comunicazione orale tra Fabro e alcuni dei suoi compagni (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio) fosse stata in spagnolo. Questa idea rinforza l'approccio al Memoriale come se si trattasse del prodotto di una coscienza individuale. Di conseguenza, nel testo potrebbero riconoscersi sentimenti, pensieri, ecc. Queste teorie, come succede con gran parte delle analisi secondo certi paradigmi della storia culturale, si orientano a partire del concetto di rappresentazione. Una alternativa a questo approccio epistemico è introdurre il concetto di comunicazione, giacché le descrizioni alle quali si riferisce la storia culturale sono manifestazioni testuali, vale a dire, comunicazioni.
Qui dovremmo superare un concetto ingenuo di comunicazione in quanto trasmissione di un emittente a un ricevente. Comunicazione è la sintesi di tre elementi: l'informazione, l'atto del comunicare, e la comprensione (accettare o rifiutare). Questa sintesi selettiva fa apparire la comunicazione come altamente improbabile. Il linguaggio non basta per garantire la comprensione. Di volta in volta il sistema sociale provvederà diversi media per assicurare l'atto di comprendere: la retorica (persuasione), la morale, come la verità, il potere, ecc. In questa ottica sarà determinante, per l'analisi testuale, la ricezione da parte di ego (ricevente) e non tanto di alter (emittente). Un testo, in quanto comunicazione, è tale in quanto ricevuto.
L'ipotesi di un originale autografo perso, indica che a partire del XX secolo il testo è stato osservato secondo distinzioni di tipo filologico che non interessavano ai coetanei del Memoriale né ai suoi successivi lettori. Come esempio dei complessi rapporti tra semantica e struttura sociale, si pensi allo slittamento semantico del concetto di copia e di conseguenza di quello di originale. Copia stava a indicare una abbondanza associata normalmente alla quantità di argomenti a disposizione.
Quando il concetto devierà per indicare un esemplare identico si modificherà anche il concetto di originale che, invece di indicare l'origine dal quale proviene qualcosa, individuerà ciò che non ha precedenti nel passato. Questo determina una diversa considerazione del concetto di autografia riguardo le opere storiche e letterarie della prima modernità. Nella prima modernità manca ancora la idea di una dignità intrinseca dell'autografo così come succederà nella modernità avanzata.
Dal testo non è possibile risalire alla mano di chi scrive, né dalla mano alla coscienza dello scrittore. Lo storico considera soltanto le comunicazioni, i documenti, per lui la comunicazione non può avere un alito cattivo.
L'insistenza dell'autografo denota anche una centralità dell'individuo nella comunicazione e supporrebbe la possibilità di accesso (o al meno il desiderio) alla coscienza di alter. Il rapporto tra coscienza è comunicazione è, in questa concezione, simmetrico[7] L' io che appare nel testo del Memoriale non corrisponde a un io psichico, vale a dire all'operazione di una coscienza individuale ma alla aspettativa con la quale il sistema sociale considerava l'io. L' io in questione è un io comunicativo che deve essere modellato secondo la legge evangelica prevista per il discepolo il quale deve rinnegare se stesso.
È evidente che ogni processo comunicativo presuppone individui che lo inizino. Ma l'utilizzo che si fa dell' io corrisponde all’antico concetto di persona[8] e non di individuo. Così N. Luhmann: Ma allora si dovrebbe parlare di persone nel loro vecchio e stretto senso, e non di individui (esseri umani, coscienza, soggetti, ecc.). I nomi e i pronomi utilizzati nella comunicazione non hanno la minima analogia con ciò che indicano. Nessuno è 'io'. E lo è così poco come la parola mela è una mela[9]. Un testo del De Poenitentiae di Sant'Ambrogio è particolarmente indicativo:

L'uomo rinneghi se stesso e si trasformi completamente, come quel giovane di cui parla la favola. Questi, essendo andato in terra straniera dopo aver avuto una relazione con una prostituta, e quindi essendo ritornato dimentico di quell'amore, incontrò successivamente la vecchia amante la quale, stupita che non le avesse rivolto la parola, pensò di non essere stata riconosciuta. Allora, incontrandolo una seconda volta, gli disse: 'Sono io'. Ma egli le rispose: 'Ma io non sono più io'.

Questo testo di Sant'Ambrogio ebbe ancora una ricezione da parte di San Francesco di Sales:

Il mutamento del luogo è molto utile per calmare la febbre e l'agitazione causate sia dal dolore che dall'amore. Il ragazzo di cui parla S. Ambrogio nel II libro della Penitenza, ritornò da un lungo viaggio completamente guarito dai futili amori che l'avevano attanagliato prima; alla sciocca amante che, incontrandolo gli disse: Non mi conosci? sono sempre la stessa! Sì, certo, rispose, ma sono io che non sono più lo stesso. La lontananza aveva operato in lui quel felice mutamento.[10]

Questo «io narrativo» è moralizzante e moralizzato, che nel caso del Memoriale, è una morale ancora indistinta dalla religione. In qualche modo, il testo del Memoriale è ancora radicato in un mondo medievale che comunque si evolve velocemente.[11] Questo «io persona» è quello che si ritrova anche in Hobbes:

La parola « persona» è latina; al posto di essa i Greci hanno πρόσωπον che significa il viso, così come «persona» in latino significa il travestimento, l'esterna apparenza dell'uomo, tale quale appare truccato sul palcoscenico, e spesso, in senso più ristretto, quella parte che nascondeva il viso, come la maschera; e dal palcoscenico la parola è stata presa per definire chiunque rappresenti parole ed azioni, sia in tribunale che in teatro. Una persona è dunque lo stesso che un attore, sia sulla scena che nella conversazione comune, e l'atto dell'impersonare è l'agire od il rappresentare sè stesso o gli altri, e si dice che chi rappresenta altri sostiene la parte di quella persona od agisce in suo nome[12].

A partire del testo del Memoriale sarà possibile seguire il transito evolutivo dell' io poi declinato a partire da altre distinzioni come sincerità e dopo ancora dall' autenticità che saranno paradossalmente incomunicabili. Per tanto, l'individuo sarà incapace di fidarsi di sé stesso. Alla luce di queste distinzione la «vera devozione» non sarà possibile comunicarla intenzionalmente.[13]

Sodalibus scolastici parisiensibus. Ratisbona, 12/05/1541.
Esempio di lettera di P.Favre in spagnolo
.



  1. Historia Societatis Iesu, pars prima, 1615.
  2. Historia Societatis Iesu, pars seconda, 1614.
  3. Vedi il testo qui.
  4. Potrebbe leggersi: "Ci sono molte lacune fino a una parte del 1546."
  5. Probabilmente si riferisce al codice 6183.
  6. Ambrosius, De Poenitentae, Liber II, cap. 10.
  7. [...] la relazione tra coscienza e comunicazione non può essere compresa in modo asimmetrico, come richiederebbe la concezione usuale. La coscienza non è né causa né origine, non è né sostanza né soggetto della comunicazione. La comunicazione non avviene in modo tale che sia il soggetto a prendere per primo la decisione di comunicare, portando poi in pratica tale disegno, in modo che, infine, come effetto di questa catena causale, qualcuno ascolti o legga ciò che è stato detto o scritto. N. Luhmann, La ciencia de la sociedad, 49.
  8. "Persona est conditio, status, munus, quod quisque inter homines et in vita civili gerit" (Forcellini).
  9. Luhmann, Niklas Complessità e modernità. Dall'unità alla differenza, p. 63.
  10. S. François de Sales, Introduction à la vie dévote. Lyon chez Pierre Rigaud, 1609, troisiéme partie, Cap. XXI.
  11. In questo senso può anche leggersi la distinzione tra personaggio rotondo e piano in W. Ong: Opposto al personaggio "rotondo" [della scrittura] c'è il "piano", il tipo di figura che non stupisce mai il lettore, ma piuttosto lo delizia recitando esattamente come ci si aspetta che faccia. Ora sappiamo che il personaggio "pesante" (o "piatto") deriva originariamente dalla narrazione orale primaria, che non può offrire personaggi di altro tipo. Il personaggio tipo, serve sia per organizzare la linea della trama che per gestire gli elementi non narrativi che si presentano nella narrazione. Ong, Walter, Oralità e scrittura.
  12. Hobbes, Th, Leviatano, parte prima, cap XVI.
  13. Inevitabile a questo riguardo l'opera di Lionel Trilling, Sincerity and authenticity.