Page:Romani Collegii Societatis Jesu Musaeum Celeberrimum 1678.pdf/51

From GATE
This page has been validated


ei insidiantes, quasi exanimes memphitis vehementiâ à persecutione desistere cogantur. Harum exuviarum unam ostentat Musaeum.
Peregrinarum volucrium exuviae hic aliquot inter raritatum varietatem conservantur. Occurrit itaque primo loco Pica Brasiliae, quam alii à magnitudine Ramphastum putant, alii verò 'Variani testimonio (qui in Aethiopia abundantes repiriri scribit) Abbatem superbum, alii avem Rhinocerotem ajunt. Quidquid de nomine sit, si caetera corporis membra rostro conveniunt, vix arbitror majorem inter volatilia volucrem reperiri. Rostrum quippe hoc in longitudine duos palmos excedit, et quà corpori unitur, seu capiti, in crassitie quatuor uncias superat, in latitudine vero uncias septem, unde rostrum hoc volucrium more in acumen curviusculum excrescit, pluribusque denticulis acutissimis in serrae morem hinc et inde prominulis conspicuum: color quidem hodie glaucescit, nescio an temporis tractu, aut naturali colore hoc ita tinctum sit; si Reverendis Patribus, qui ex India ad Urbem accedere, ac redire solent, credimus, pretiosissima antitodariâ virtute adversus omnia venena praestat; Indisque Monarchis et Principibus solùm concessa, à quibus maximi thesauri loco custoditur, et conservatur, interque donativa et munera, quibus Indorum Reguli sibi invicem officiosè occurrere, et correspondere solent, (quibus hoc demortuae avis rostrum praecipuè in pretio est) reponitur. Nec mirum quod isthaec avis, uti rara, tam pretiosâ dote à natura condecorata, et dotata sit; nam multiplex experientia et Authorum variorium, ac gravium virorum opinio nos docet, inter aviculas nostras Europaeas rostra et ossa varia medendi virtute pollere, unde rostrum et ossa Ciconiae in Apoplexia et Paralysi laudantur. Alaudae, Passerésque, Troglodytici in Colica, alii commendant pro Icteritia volucrem, Icterum seu Galgalum: Vulturum, Cygnorum, Onocrotalorum et Aquilarum pelles applicatae stomacho, oppidò ad concoctionem, et digestionem ventriculi faciunt. Picae modicè sumptae molestas cordis palpitationes sedant; nec hac solum medendi virtute pollent aviculae, sed nos docent, pro variis morbis varia simplicia eligere; unde ab Aquila habemus lapidem Aetitem; ab Hirundinibus Chelidoniam visui prodesse docemur; à Milvo nobis Rhamno mederi, à Turdo Myrti ramo; ab Ardea Cancro; à Merula Lauro; à Gruibus palustri junco; quin imo anni tempora, et intervalla distinguunt aves, et tempestatum immutationes nobis vaticinantur, ut à deliro veterum auspicio abstraham, unde canit Mantuanus Pṏeta.
Astra etiam pluviasque docent, et certa dierum
Tempora, et annorum. Sic ver cognoscit Hirundo,
Alcyones hyemem, ventos et flumina cudunt,
Et tempestates campis sitientibus imbres.
Et Virgilius in Georg. libro I.
Certatim largos humeris infundere rores
Nunc caput obiectare fretis, et currere in undas.
Et mox ibid.
Tum Cornix plena pluviam vocat improba voce,
Et sola in sicca secum spatiatur arena.
Et iterum.
Cana fulix itidem fugiens è gurgite ponti
Haud modico tremulos fundens è gutture cantus,
Nuntiat horribiles clamans instare procellas.

che i cacciatori che l’insidiano, quasi tramortiti dalla potenza dell’esalazione, sono costretti a desistere dall’inseguimento. Di questi esemplari il Museo ne vanta uno.
Tra le diverse rarità si conservano qui alcuni esemplari di uccelli stranieri. Per prima si incontra la gazza del Brasile, che alcuni per la grandezza credono ranfasto, altri invece, basandosi sulla testimonianza di Variano (che scrive che se ne trovano molte in Etiopia), la chiamano abate superbo, altri ancora uccello rinoceronte. Qualunque sia il suo nome, se le altre membra del corpo sono proporzionate al becco, credo che a stento si possa trovare tra i volatili un uccello più grande. Infatti questo becco supera i due palmi di lunghezza, e là dove si salda al corpo, cioè nel capo, supera 4 pollici di spessore e 7 pollici di larghezza dal punto in cui questo rostro, come quello degli uccelli, si curva, aguzzo e notevole per i diversi dentelli acuminati e un po’ sporgenti da un lato e dall’altro, a mo’ di sega: oggi il colore è bluastro ma non so se è a causa del passar del tempo o se questo sia il colore naturale; se dobbiamo credere ai reverendi padri che vanno e vengono dall’India, eccelle per una preziosissima dote: è antidoto contro ogni veleno; è riservato solo a monarchi e a principi indiani, dai quali viene custodito e salvaguardato come un tesoro e messo da parte per divenire oggetto di omaggio che i dignitari sono soliti scambiarsi a titolo di cortesia (da loro è apprezzato soprattutto questo becco dell’uccello morto). Né deve stupire che codesto uccello sia mirabilmente dotato da natura di una virtù non solo rara ma anche tanto preziosa, infatti una ricca esperienza e l’opinione di vari autori e di persone degne di fede ci insegna che tra i nostri uccelletti europei rostri ed ossa hanno in un modo o nell’altro virtù curative, come il becco e le ossa della cicogna che sono apprezzati in caso di apoplessia e di paralisi. Allodole, passeri, uccelli delle caverne in caso di colica. Altri invece raccomandano in caso di itterizia l’uccello chiamato ittero o rigogolo; pelli d’avvoltoio, di cigno, di pellicano, di onocrotalo e d’aquila, applicate sullo stomaco, facilitano assai la digestione. Le gazze, utilizzate con parsimonia, calmano le modeste palpitazioni cardiache, e gli uccelletti non hanno solo questa virtù curativa, ma ci insegnano a scegliere a seconda delle malattie diversi elementi semplici; così dall’aquila abbiamo la pietra etite; dalle rondini impariamo che il collirio chelidonio è utile alla vista, dal nibbio apprendiamo a curarci col ranno, dal tordo col ramo di mirto, dall’airone col gambero, dal merlo con il lauro, dalla gru col giunco di palude; e per giunta gli uccelli ci indicano il trascorrere delle stagioni e ci annunciano il cambiare del tempo, per rifarmi all’auspicio degli antichi come canta il poeta mantovano:
Ci insegnano gli astri e le piogge e le ore del giorno
E le stagioni dell’anno. Così la rondine riconosce la primavera
Gli alcioni cantano l’inverno, i venti e le correnti
E le piogge pei campi assetati.
E Virgilio nel primo libro delle Georgiche:
A gara si spruzzano d’acqua il dorso
Ora avventano il capo contro le onde e volano sul pelo dell’acqua.

E subito dopo:
Poi la cornacchia a piena voce stridendo invoca la pioggia,
E sola sola passeggia sull’arida sabbia.
E ancora:
La bigia folaga ancora fuggendo dai flutti del mare
Versando non piccoli stridi dalla piccola gola
Annuncia gridando che incombono orribili tempeste.