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anathemata inter Musaei Sacra monumenta asservantur.
Quarto loco ad peregrinarum antiquarumque rerum apparatum spectant duodecim parallelogrammae rectangulae tabulae, quibus uti et aliis magno numero, ex ultimo orbe advenae R.R.P.P.S.J. rerum peregrinarum supellectile Musaeum locupletarunt, sunt atro colore tinctae chartae albicantibus literis, characteribus et lineis conscriptae, et effigiatae aliquae, aliae etiam diversis coloribus depictae. Numina, mores, leges, cartas geographicas, quae universum repraesentant, juxta intellectum et capacitatem peregrinarum gentium. Hinc aliae sunt symbola Numinis Amida, aliae genealogiam semideorum Chinensium, utpote Bacchi, Martis, aliorumque fictitiorum Numinum monstra exhibent. Sunt duae tabulae, decem incarnationes Brumae pseudo-numinis Brachmanum, ἀυτγράμματα ex magni Mogoris regno ad Authorem transmissa.
Quintum locum sibi vendicat Alcoranus Arabico charactere conscriptus in charta pergamena, aureis literis et diversis limbis interstincta fascia longa palmos viginti, larga semipalmum, donum à Philippo Carolo Tunetano Regis filio ob Scientiae venerationem R.P. Athanasio transmissum, estque idem Alcoranus, quo utebatur Seliman Turcarum Imperator.
Visuntur demum volumen Orationum Illyricarum libri, et Dictionaria Chinensia; praegrandis Tabula Idiomarum]] quae 72. diversis characteribus nomen ineffabile Dei exprimunt. Adest etiam magna copia vasorum lacrymatoriorum, quae in diversis cavernis et tumulis hinc inde eruta, et delineata asservantur, quorum omnium complementum, decor et majestas est Bibliothecion solius Authoris calamo et doctrina toti mundo notum, quo et praeclara ejus opera spectare licet, quêis etiam quidquid in Musaeo dignum consideratione spectatur, describitur, omnium artium scientiarumque arcanissimus promocondus.

CAPUT VII

De Obeliscis Aegyptiorum.

Continent Obelisci priscorum Aegyptiorum sapietiam hisce veluti durissimis faxis aeternitati consecratam, attamen temporis tractu adeo neglectam etiam à bis mille annis in profundo ignorantiae abditam, ut nemo ad eorum arcana hucusque penetrarit, mansissentque utique in illo immenso oblivionis Chao, si eam de profundo ignorantiae lacu, non cum minori Orbis voto, quam nominis sui immortali famâ Kircherus non eruisset, literarumque arcanarum opus tot saeculis abditum tentasset, ac tandem foeliciter perfecisset; debet tibi vir eruditissime non immerito, parcat mihi modestia tua, Resp. literaria, quae in Hercule, Atlante, Trismegisto, Protheo, aliisque aut fabulosa Poëtarum Schola, aut saeculi nostri memoria depraedicat. Dum deperditam linguam Aegyptiacam restituisti, nunquam intellecta hieroglyphica explicuisti, superstitiosamque Aegyptiorum scientiam veritate superasti. Ab Etymologia nominis, ut ordiar, hęc à graeco ὂβελος

, quod Veru significat, scilicet à forma veru nomen duxit. Arabibus Messalet Pharaum, id est, Pharaonis acus dicta, à Pharaone, sic enim Reges prisci Aegypti vocabantur, nam de inventore primo ejus controvertitur, cùm maxima Arabum schola jam ante Diluvium Memphi Pyramides extructas perperam tradat. Harum Pyramidum

Al quarto posto della sezione delle antichità straniere appartengono dodici tavole rettangolari di cui, come di altri in gran numero, i reverendi padri della Compagnia di Gesù, tornati dai confini del mondo, arricchirono come suppellettile straniera il Museo, sono carte tinte di colore scuro con caratteri biancastri, coperte di segni e linee, alcune con disegni, altre con dipinti di diversi colori. Divinità, costumi, leggi, carte geografiche che rappresentano l’universo secondo l’intelligenza e le capacità delle popolazioni straniere. Altre sono simboli del Dio Amida, altre rappresentano la genealogia dei semidei cinesi simili a Bacco e Marte, e rivelano le meraviglie di altri dei fantastici. Ci sono due tavole con le dieci incarnazioni di Brahma, pseudo-divinità brahamanica, αυτογραμματα fatti pervenire all’Autore dal regno del Gran Mogor.
Rivendica per sé il quinto posto il Corano, scritto in caratteri arabici su carta pergamena: è una striscia lunga venti palmi venata qua e là di lettere dorate e diversi fregi, larga mezzo palmo: dono fatto pervenire da Filippo Carlo Tunetano figlio del re a titolo di omaggio per la scienza, al R.P. Atanasio, ed è proprio quel Corano di cui si serviva l’imperatore dei Turchi Soliman.
Si vedono infine: un volume di orazioni illiriche, dizionari cinesi; una tavola assai grande di espressioni che significano il nome ineffabile di Dio in settantadue diversi caratteri. C’è anche una ricca collezione di vasi lacrimatori, dissepolti qua e là in caverne e tombe diverse; a completamento di tutto ciò, onore e vanto, è la biblioteca del solo Autore, nota a tutto il mondo per stile letterario e cultura, dove è possibile ammirare le sue opere illustri e in cui vien descritto anche tutto ciò che nel Museo si può vedere degno di considerazione, segretissima rivelazione di tutte le arti e le scienze.

CAPITOLO VII
Gli obelischi degli Egizi

Gli obelischi degli antichi Egizi racchiudono la sapienza consacrata all’eternità proprio da queste che sono le pietre più dure, (sapienza) tuttavia trascurata per un lungo tempo, anzi sepolta nella profondità dell’ignoranza per duemila anni, ad un punto tale che nessuno riuscì a penetrare nei suoi segreti, e sarebbe rimasta comunque in quell’immenso abisso di oblio, se da quel profondo lago di ignoranza non l’avesse dissepolta Kircher, con gli auspici del mondo non meno che con fama immortale del suo nome, e non avesse posto mano all’interpretazione delle arcane lettere, per tanti secoli nascoste, e infine non avesse riportato un pieno successo. Deve a te, uomo coltissimo - e non senza ragione mi scusi la tua modestia - la Repubblica delle Lettere, ciò che in Ercole, Atlante, Trismegisto e Proteo ed altri, o la scuola fantasiosa dei poeti o la memoria del nostro secolo va magnificando.

Mentre hai restituito la perduta lingua egizia e spiegati i geroglifici mai prima compresi, hai superato con la forza della verità la sapienza degli Egizi contaminata di superstizione. Per cominciare dall’etimologia, essi prendono il nome dal greco obelos, che significa spiedo, cioè dalla forma dello spiedo. Fu detto dagli Arabi Messalet Pharaum cioè Ago del Faraone, dal Faraone – così infatti si chiamavano gli antichi re d’Egitto –, giacché sul primo scopritore c’è controversia e la maggior scuola degli Arabi tramanda a torto che le Piramidi furono costruite a Menfi ancor prima del Diluvio.