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novi illius orbis addiscere potest. Ego hic solum de earum origine ago. Et primo loco occurrit titulus inscriptionis Montis Sinai his characteribus effigiatus in rupe montis Horeb, quae est pars Montis Sinai. Attulit hanc inscriptionem linguarum Orientalium notitiâ excellentissimus R.P. Thomas Obecinus è divi Francisci familia, quam deserta Sinai curiositas lustrando in una rupium montis Sinai sesqui-palmaribus notis incisam reperit, et bona fide exscriptam Romano Oedipo (eam forte in aenigmatibus tentaturo) obtulit, sed non difficile fuit ei omnium fere Orientalium linguarum gnaro, Sacrae Sphingis, ut quidam rebantur arcana Cabalicis Symbolis involuta mysteria enodare, quod non aliis, quam ipsiusmet modestissimi Prodromi verbis propono prout scribit in Prodomo suo Copto.
Divino itaque implorato auxilio, mox trium linguarum, Hebraicae, Samaritanae et Syricae, ad quos dicti characteres accedere videbantur, adhibitis mihi quoque consuetis artis combinatoriae regulis, sedulam accepi comparationem, et ecce scripturae, caeteroquin intricatissimae omniumque opinione inexplicabilis sensus, uti opinione citius, ita quoque labore non adeo magno et singulari (Deo Patri Luminum sit honor) clarus omibus solutus nodis tandem emersit. (Deus Virginem Concipere faciet.) Titulus illis nationibus postea in Oriente tantam meruit venerationem, ut, quemadmodum scribunt, eo plures portarum vestibulis inscribendum censuerint. Lectio verò Tituli est haec: Adonai Almatha Jebtèn. De origine hujus scripturae agens Author multis ante Christi adventum saeculis exaratam fuisse probat, eodemque plane loco rupi incisum, in quo olim Moysi Deus in ardenti rubo locutus est, et nomen suum mirabile manifestavit, quod Sacer textus ad montis Horeb crepidinem factum narrat. Dum inquit, Veniens (subintellige Moyses) ad montem Dei Horeb, apparuitque ei dominus in flamma ignis de medio rubi, et videbat quod rubus arderet, et non combureretur. Exod. cap. 2. quem textum illi loco, in quo incisi sunt praefati characteres, optimè congruere, ait oculatus testis praenominatus R.P.Thomas. Sunt qui putent hanc ipsam Scripturam à Moyse Spiritu Prophetico inibi excisam, quid enim indemnis à flamma rubus innuit aliud, quam Virgineas materni candoris nives, quae paritura erat Deum et virginitatis non passura jacturam et detrimentum. Hanc epigraphen pariter ex rupe descriptam ad P.Kircherum exponendam transmisit olim Clariss. Petrus à Valle dum montem Sinai lustraret.
Secundo occurrit tabula grandis decem palmos longa, quinque vero lata, figura paralellogrammum rectangulum referens, et Sinicis characteribus tota conscripta et prototypon est cujusdam saxi marmorei ejusdem magnitudinis, sed crassitiei palmaris. Tabula hęc marmorea in Villa Sanxuen anno 1625. in regno Sinarum effossa à PP.Soc. Jesu fideliter descripta, Romamque transmissa. Kircheriana editione celebris facta, testimonium perhibet de antiquitate Legis Christianae in Sinensium Regno continet hic lapis praecipua mysteria fidei, atque salutifero signo Sanctae Crucis insignitus hunc titulum gestat, Lapis in laudem et memoriam aeternae legis, lucis et veritatis portatae de Judaea et in China promulgatae. Evidens itaque testimonium est anno Domini 636. in Sinas pervenisse fidem Christi per Chaldaicos Sacerdotes. Erectus autem est lapis anno 782, hoc est 146 annis post legis ibidem praedicationem, ubi Ecclesiae fundatae sunt, Episcopi constituti; toto quo tempore octo Reges in Sinis vixerunt. Itaque jam 1036 anni aguntur, quo in illa regna fides nostra introducta fuit.
Tertio loco conspicuae sunt duae tabulae deargentatae, et characteribus Sinicis D.D. Ignatio et Francisco Xaverio sacrae à R.P. Michaële Boymio è Sinis in Urbem Legato allatae, ac veluti sacra

Io qui tratto solo della loro origine, e al primo posto viene il testo dell’iscrizione del Monte Sinai, raffigurato con questi caratteri su una rupe del Monte Horeb, che è parte del Monte Sinai. Ci riportò quest’iscrizione, grazie alla sua conoscenza delle lingue orientali, l’eccellentissimo reverendo padre Thomas Obecino, dell’ordine di San Francesco; la sua curiosità nel percorrere i deserti del Sinai gli permise di ritrovarla incisa, in caratteri di un palmo e mezzo, su una delle rupi; dopo averla riprodotta con fedeltà la presentò all’Edipo Romano (forse perché la decifrasse), ma non fu difficile a lui, esperto di quasi tutte le lingue orientali, spiegare gli arcani misteri avvolti nei simboli cabalistici della Sfinge Sacra, come alcuni credevano, cosa che propongo con parole non diverse da quelle dello stesso modestissimo Messaggero, proprio così come egli scrive nel suo Messaggero Copto.
Perciò, implorato l’aiuto divino, mi accinsi al diligente confronto delle tre lingue, ebraica, samaritana e siriaca, a cui sembravano accostarsi i suddetti caratteri, non senza aver anche usato le consuete regole dell’arte combinatoria, ed ecco che il senso della scrittura, del resto complicatissima, e ad opinione di tutti, inesplicabile, più rapidamente di quel che credessi e senza particolari difficoltà, emerse infine chiaro (sia onore a Dio, Padre dei lumi), sciolto da tutti i nodi. (Dio farà concepire una vergine). Il testo meritò poi in Oriente tanta venerazione presso quei popoli, che, come riferiscono, molti decisero per questo di farlo iscrivere nei vestiboli. La dicitura è: Adonai Almatha Jebtèn. Trattando dell’origine di questa scrittura, l’Autore prova che fu tracciata molti secoli prima dell’avvento di Cristo e certamente incisa nella rupe proprio in quel luogo in cui un tempo Dio parlò a Mosè nel roveto ardente e manifestò il nome suo mirabile, fatto che il sacro testo narra avvenisse ai piedi del monte Horeb. Quando dice: venendo (intendi: Mosè) all’Horeb monte di Dio, gli apparve il Signore nella fiamma di fuoco dal centro di un rovo e vedeva che il rovo ardeva e non bruciava. Esodo, cap. II., scritto che, dice il testimone oculare citato reverendo padre Thomas, si adatta bene a quel luogo in cui sono incisi i caratteri detti. C’è chi pensa che questa stessa scrittura vi sia stata scolpita da Mosè con spirito profetico: che cos’altro indicherebbe infatti il rovo indenne dalla fiamma se non la purezza virginale del materno candore di Colei che senza patire offesa e danno della verginità, avrebbe partorito Dio? Quest’epigrafe, copiata nello stesso modo dalla rupe, mentre percorreva il Monte Sinai, la consegnò a padre Kircher, perché la pubblicasse, il chiarissimo Pietro della Valle.
Al secondo posto si incontra una stele di grandi dimensioni, lunga dieci palmi, larga cinque, a forma di parallelogrammo a base rettangolare, tutta coperta di caratteri cinesi: è la copia di un blocco di marmo della medesima grandezza ma di un palmo di spessore. Questa tavola di marmo, portata alla luce nella città di Sanxuen [X’ian] in Cina nel 1625 fu fedelmente descritta dai padri della Compagnia di Gesù e trasferita a Roma. Divenuta famosa grazie alla pubblicazione di Kircher, dà testimonianza dell’antichità della dottrina cristiana nel regno di Cina, contiene i principali misteri della fede e munito del salutare segno della Santa Croce, reca questa iscrizione: Pietra in lode e memoria della legge eterna di luce e di verità portata dalla Giudea e diffusa in Cina. È perciò testimonianza evidente del fatto che nell’anno del Signore 636 la fede di Cristo giunse in Cina grazie a sacerdoti caldei. La lapide fu dunque eretta nel 782, cioè centoquarantasei anni dopo la predicazione della legge in quei luoghi, proprio dove furono fondate chiese, istituiti vescovati; in tutto questo tempo in Cina vissero otto re. Così sono ormai mille e trentasei anni dacché la nostra fede è stata introdotta in quei regni.
Al terzo posto vi sono due tavole rivestite d’argento dedicate ai santi Ignazio e Francesco Saverio e recate a Roma dal reverendo padre Michele Boym dalla Cina, si conservano come doni votivi tra i documenti sacri del Museo.