Monumenta

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Ormai quarant’anni fa, in un articolo pubblicato nella Enciclopedia Einaudi, Jacques Le Goff argomentava la sostanziale coincidenza tra documento e monumento.[1] Dopo aver ricostruito la storia e l'evoluzione dei due termini, lo storico francese concludeva dicendo che

Il documento è monumento. È il risultato dello sforzo compiuto dalle società storiche per imporre al futuro - volenti o nolenti - quella data immagine di se stesse. Al limite, non esiste un documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo storico di non fare l’ingenuo. I medievalisti che hanno lavorato tanto per costruire una critica - sempre utile, certo - del falso devono superare questa problematica perché qualsiasi documento è nello stesso tempo vero - compresi, e forse soprattutto, quelli falsi - e falso, perché un monumento è in primo luogo un travestimento, un’apparenza ingannevole, un montaggio. Bisogna anzitutto smontare, demolire quel montaggio, destrutturare quella costruzione e analizzare le condizioni in cui sono stati prodotti quei documenti-monumenti.[2]

All’epoca della pubblicazione del primo volume dei Monumenta Historica Societatis Iesu, uscito a Madrid nel 1894, non era probabilmente ancora possibile compiere un'osservazione di questo tipo, frutto di una riflessione generata da alcune concezioni storiografiche maturate successivamente - si pensi ad esempio alla mutata considerazione del documento inaugurata dalla scuola delle Annales. Nella scia della storiografia positivista, per i gesuiti incaricati di scrivere la storia istituzionale, era dunque del tutto scontato intitolare una raccolta di fonti Monumenta, con implicito ma non sempre ovvio riferimento alla prima raccolta di questo genere, i Monumenta Germaniae Historica pubblicati a partire dal 1826. Il dubbio dei gesuiti coinvolti nell'iniziativa si appuntò più sull'uso del termine historica al posto di historiae: l'utilizzo del secondo avrebbe infatti dato l'impressione che i monumenti pubblicati sarebbero stati utili solo per la storia della Compagnia di Gesù. Invece, dopo che il padre generale Luis Martín (1846-1906) giudicò opportuna la diffusione dei Monumenta anche al di fuori dell'ordine, historica sembrò essere più appropriato, giacché "los documentos, si bien todos o la mayor parte serán de la Compañia, podrán servir también para otra suerte de historias, como la eclesiástica y la profana".[3]

I Monumenta dovevano dunque servire come sostegno per la scrittura della storia e, nella visione specifica dei padri gesuiti, per la scrittura della storia della Compagnia di Gesù. Paradossalmente, più le fonti messe a disposizione nei Monumenta aumentavano, più sembrava allontanarsi l'obiettivo primario. Fra i pochi tentativi di scrivere la storia della Compagnia contemporanei o di poco successivi alla pubblicazione dei Monumenta, possiamo ricordare quelli di Pietro Tacchi Venturi e Mario Scaduto, i quali con i loro volumi usciti nell'arco di diversi decenni riuscirono a coprire solo i primi trent'anni di esistenza dell'ordine, fino al 1572, ristretti tra l'altro alle sole vicende italiane. Seppur con stile e metodo assai diversi, Tacchi Venturi e Scaduto fecero un uso limitato dell'enorme massa documentaria messa a disposizione dai Monumenta e soprattutto il lavoro del secondo veniva piuttosto qualificato dal reperimento di numerosi altri documenti inediti conservati negli archivi della Compagnia. La pubblicazione di una delle più ampie raccolte di documenti edite nel corso del XX secolo, intrapresa per servire alla scrittura storia generale dell'Ordine e dunque in qualche modo per costruire l'identità, sortì l'effetto opposto: nessuno si accinse a tale impresa - forse impossibile data la mole di documenti che si andava accumulando - e sempre di più si assisterà a un uso parziale e frammentario dei Monumenta. La scrittura della storia generale della Compagnia subì dunque l'ennesimo naufragio dopo i vari tentativi che si susseguirono nel corso dei secoli, a partire dal più antico di Nicola Orlandini fino a giungere a quello più recente di Giulio Cesare Cordara.

L'impresa dei Monumenta iniziò a rivelare i propri limiti e furono alcuni dei gesuiti maggiormente coinvolti nella loro organizzazione a mettere in risalto delle problematiche. In occasione del cinquantenario dell'uscita del primo volume, Daniel Fernández Zapico e Pedro de Leturia osservarono le criticità del progetto originario[4]. L'auspicio di Martín era che i monumentalisti fossero solo "editores, no comentadores de los documentos",[5]. Secondo la concezione del padre generale una riproduzione dei documenti caratterizzata da "rigurosa exactitud y minucciosa corrección"[6] fosse garanzia di verità e potesse così illuminare la storia della Compagnia. Questa operazione fu giudicata dalla rivista America the Jesuit Review come una "pitiless light" puntata sulla storia dell'ordine.[7] Zapico e Lettura evidenziarono anche le difficoltà tecniche che implicava l'edizione critica dei documenti, nella quale era spesso impossibile mantenere l'imparzialità auspicata da Martín. Ammettevano inoltre la scarsa conoscenza dei Monumenta fuori dalla Compagnia, stante anche la mancanza di un indice sistematico che ne illustrasse nel dettaglio i contenuti e facesse da guida al lettore. Infine i due gesuiti dovettero riconoscere che l'intento di duplicare quanto era presente negli archivi, sebbene fosse conseguenza del desiderio di far conoscere universalmente la storia dell'ordine, non per forza significava fare luce nell'oscurità che caratterizza intrinsecamente la documentazione archivistica. La concezione dell'equivalenza tra verità e documento si rendeva più problematica.

Riproporre oggi il termine Monumenta per identificare la pubblicazione di una nuova serie di documenti inediti potrebbe apparire anacronistico. Diverso è il contesto di riferimento di questi Monumenta, non più l'ordine nella sua interezza e nei suoi primi decenni di vita, ma solo alcuni suoi 'protagonisti' profondamente diversi tra loro e pescati in epoche altrettanto differenti; diverso il mezzo usato per pubblicarli, non più la stampa e la carta caratterizzate da fissità e materialità, ma un dispositivo elettronico forse effimero, certamente intangibile però allo stesso tempo facilmente modificabile e integrabile; diversi gli addetti alla loro pubblicazione, non più esclusivamente membri dell'ordine; diversa, infine, l'interazione tra questi stessi addetti durante il lavoro, non più condizionata dai tempi e dagli spazi del passato, ma facilitata (e forse in parte anche ostacolata) dall'ubiquità generata dalla rete. La fedeltà al documento originale, aspetto predominante nei Monumenta, rimane certamente importante anche in questo progetto, sebbene la possibilità per il lettore di consultare la riproduzione digitale dei documenti - oltre alla loro trascrizione - tende a porre il problema dell'edizione critica sotto una luce diversa. D'altro canto le opportunità offerte dal trattamento digitale dei testi aprono tutta una nuova serie di domande, problematiche metodologiche e questioni epistemologiche che riguardano la scienza storia nel suo insieme.

Consci di tali differenze, l'intento che qui si vuole perseguire è quello di continuare l'opera iniziata dai padri fondatori dei Monumenta. Inserirsi in questa tradizione non significa condividere la stessa visione della storia e del documento da loro proposta: il punto fondamentale che accomuna i 'vecchi' Monumenta con i nostri è la volontà di mettere a disposizione degli studiosi documenti altrimenti ignoti, trasformandoli in nuovi monumenti e aprendoli all'analisi critica.


References

  1. Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1977-1984, vol. 5 (1978), pp. 38-48. Questo articolo venne pubblicato direttamente in italiano e successivamente fu raccolto assieme ad altri scritti di Le Goff nel volume Storia e memoria, Torino, Einaudi, 1982, tradotto pochi anni dopo in francese col titolo di Histoire et mémoire, Paris, Gallimard, 1988. A partire dalla versione francese, nel 1992 ne venne pubblicata una inglese (Memory and history, New York, Columbia University Press), dove non è però presente questo breve saggio.
  2. Ivi, p. 46.
  3. Così in Cecilio Gómez Rodeles, Historia de la publicacion "Monumenta historica Societatis Iesu". Recuerdo del primer centenario del Restablecimento de la misma Compañia. 1814-1914, Madrid, Imprenta del asilo de huérfanos del S. C. de Jesús, 1913, p. 18. Il p. Rodeles fu il principale animatore del progetto dei Monumenta assieme José María Vélez.
  4. Daniel Fernández Zapico, Pedro de Leturia, Cincuentenario de Monumenta Historica S.I. (1894-1944), Archivum Historicum Societatis Iesu 13 (1944), pp. 1-61.
  5. Ivi, p. 19.
  6. Ivi. p. 18.
  7. America, vol. X, n° 16 (24/01/1914), pp. 378-9.