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quel divoto spettacolo, che essendo rimasti fino allora sospesi fra la speranza e il timore, in quei giorni si piegarono alla parte di quelli, che credevano che non entrerebbero: ed uno di questi fu il nostro p. Provinciale [1]. Avvenne circa quei giorni l'arrivo a Roma del Conte Ponza di S. Martino, latore di una lettera del Re al Papa e dell'annunzio della prossima occupazione di Roma. Costui andò anche dal nostro p. Generale [2] pregandolo di far venire a Roma il C. Ponza suo fratello e rettore del convitto di Mondragone per vederlo prima di ripartire: e in quella conversazione disse, che in Roma sarebbero lasciati stare tutti gli ordini religiosi, compresi i gesuiti. La qual cosa può credersi che fosse vera secondo le intenzioni del governo fiorentino, sottintesavi però sempre una doppia limitazione, cioè purché si potesse sottenere la furia della rivoluzione, e finché non venisse il tempo opportuno per cacciarli; stante che era loro interesse di serbare ordine e moderazione nella sciocca speranza di ingannare il mondo e di tirare il Pontefice a qualche trattativa di conciliazione. Intanto si erano raccolte in Roma le poche forze pontifìcie sparse nella provincia e ritiratesi di mano in mano che i nemici si venivano avanzando; e tutto l'atrio delle scuole fu domandato e con cesso per alloggio de' soldati. Alcuni padri colsero quell'occasione per far loro del bene e li confessarono quasi tutti. Posciaché