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monstrorum partu praegnans Oceanus producere solet, maximus; alio nomine à Plinio Physeter dicta; cujus testimonio Balaenae quatuor jugere, Physeteres vero ducentos cubitos longitudine excedere dicuntur; nullas omnino branchias habent, sed eorum loco praegrandem in fronte hiatum, per quem receptum humorem magno impetu evomunt, corium habent glabrum, et in modum exasperatae pellis spissum, durum, tenax, firmum ac solidum, pinnas habent utrimque unam, et tertiam in dorso, in modum alae, seu falcis, quibus universam molem corporis vibrant; caudam habent lunatam coloris Cyanei, medii scilicet inter nigrum et coeruleum, ossatura ejus tanta est, ut ea veluti sepe ad hortos cingendos et habitationes in Islandia utantur.
Rostrum piscis Xiphiae, vulgò pesce Spada; Piscis est, Delphinis magnitudine, et mole non impar, mediocres duodecim circiter palmos in longitudine aequant, dentibus carent, sed dentium loco sub ensis forma gladium oblongum fronti insertum gestant; oculos orbiculatos, et modicè in caput immissos, branchias quatuor, juxta quas duae pinnae, tertia in ventre et quarta in dorso, aliis aliquantò amplior: corpore seu pelle glabra, et levi, in cuspidem juxta aliorum piscium normam gracilescit; venter argenteus, et fulgidus est, tergum modicè nigrescit, et splendet; tantae docilitatis piscis est, ut, si dicere fas sit, linguam Graecam ab Italica distinguat. Hinc certo cantilenae genere è subaqueis antris à piscatoribus allectus ipsorum praeda evadit, ut Kircherus in Musurgia sua tanquam praesens anno 1638, 17 Maji, dum fretum Mamertinum trajiceret, testatur. Habet itaque horum rostrorum, seu gladiorum Musaeum duo, qui in latitudine semipalmum, in longitudine fere quinque adaequant.
Crocodili duo. Est Crocodilus monstrum informe et ingens, diversaeque magnitudinis; unde in Musaei tholo unus quindecim palmos longus cernitur, munificum donum Serinissimi Principis Joannis Federici Ducis Brunsvicensis, et Lunaeburgensis Athanasio Kirchero Venetiis transmissum; Alter verò parvulus duorum palmorum longitudinem habens; os ad aures usque pertingit, faucium rictu horridus, dentibus acutissimis, non multum longis, sed fortissimis, adeo ut omnes in unam maxillam coalescant, eburneo candore nitentes, pectinatimque adstricti, quorum numerus facile ad sextaginta sese extendit; linguam ei natura negavit; pedes habet quatuor in obliquum detortos, et acutis unguibus formidabiles; cauda reliquo corpore non multum minor in acumen deflectit, venter ejus molliculus, subalbus ob mollitiem; tergum verò solidum, adeo durum, robustumque ut telorum, bombardarumque ictus excutiat. In terris agit ille dies, noctesque sub undis; bestia est maximè Nili fluminis incola, quae homines amore deperire videtur, quos, cùm arripere ei contingit, tam diu deprimit, pedumque unguibus adstringit, donec exanimet, ubi vero exanimatum videt, prius moerore percussum deplorat, demum sibi et in escam devorat: unde proverbium; Lachrymae Crocodili. Reperiuntur etiam Crocodili in Gangetico flumine, qua parte Ganges fretum multis ostiis ingreditur.
Duos casus mihi hic recensere liceat, quae circa hujus bestiae voracitatem nostro seculo evenerunt: Alter ad flumen Gangeticum, ubi quidam Lusitanus enavigans tantisper ad fluminis ripam, naturae consulturus deflexerat; hic, cum navicula retardante longiusculè moraretur, horribilem rictu e flumine bestiam (Crocodilus erat) sensim adrepere advertit, quo igitur fugeret

di gran lunga il più grande di tutti quelli che l’oceano, gravido di mostri, suole produrre; con altro nome è chiamata da Plinio physeter; secondo la sua testimonianza le balene misurano quattro iugeri, ma i physeteres si dice che superino in lunghezza duecento cubiti; non hanno assolutamente branchie, ma al loro posto una sorta di fenditura assai grande sulla fronte, attraverso la quale emettono con grande impeto l’acqua introdotta; hanno un manto coriaceo glabro e spesso come una pelle scabra, rigido, resistente, saldo e solido; hanno pinne, una da entrambi i lati, e una terza sul dorso, a guisa di ala o falce, con cui riescono a spostare tutta la massa del corpo; hanno una coda lunata di color azzurrastro, intermedio tra il nero e il ceruleo; l’ossatura è così potente che spesso in Islanda la usano come siepe per cingere gli orti e le case.
Rostro del pesce xifia, volgarmente detto pescespada. È un pesce delle dimensioni di un delfino e non dissimile per mole; quelli di medie proporzioni raggiungono circa dodici palmi in lunghezza, sono privi di denti ma al loro posto hanno, in forma di spada, una lunga arma inserita nella fronte; occhi rotondi a fior di testa, quattro branchie e vicino due pinne, una terza sul ventre e una quarta sul dorso, un po’ più grande delle altre; corpo rivestito di pelle glabra e liscia, che si assottiglia secondo la forma degli altri pesci nella coda; il ventre è argenteo, e rilucente, la schiena un po’ più scura e splendente; è un pesce dotato di tanta docilità che, se così si può dire, riesce a distinguere la lingua greca dall’italica. Perciò, attirato da un genere particolare di cantilena, su dagli antri sottomarini, ad opera dei pescatori, diventa loro preda, come attesta Kircher nella sua Musurgia, come testimone oculare nel 1638, il 17 di maggio, mentre attraversava lo stretto di Messina. Il Museo conserva due di questi rostri o spade, che raggiungono mezzo palmo in larghezza, quasi cinque palmi in lunghezza.
Due coccodrilli. Il coccodrillo è un mostro orribile ed enorme, di diversa grandezza; nella volta del museo se ne può vedere uno lungo quindici palmi, dono generoso del serenissimo Principe Giovanni Federico, Duca di Brunswich e Luneburg, fatto pervenire ad Attanasio Kircher da Venezia; un altro, piccolo, di due palmi di lunghezza; la bocca arriva alle orecchie, ed è orribile per l’apertura delle fauci e per le zanne acuminate, non molto lunghe, ma assai robuste, tanto che si saldano tutte insieme nell’unica mascella, splendenti di candore d’avorio, serrate a guisa di pettine: il loro numero spesso arriva a sessanta; la natura gli ha negato la lingua; ha poi quattro zampe, torte in obliquo, e temibili per gli artigli aguzzi; la coda, non molto più piccola del corpo intero, si assottiglia nella punta; il ventre è più tenero, bianchiccio per la mollezza; la schiena compatta, a tal punto coriacea e resistente da far rimbalzare proiettili di bombarda. Trascorre le sue giornate sulla terra ferma, ma le notti sott’acqua; frequenta soprattutto il Nilo e sembra soffrire per amore degli uomini, perché, se gli capita di afferrarli, li tormenta tanto a lungo e li serra tra gli artigli delle zampe fino a soffocarli, ma quando li vede ormai privi di vita, prima afflitto li compiange, poi se li divora: donde il proverbio: lacrime di coccodrillo. Si trovano coccodrilli anche nel fiume Gange, là dove sfocia in mare in forma di delta.
Mi si consenta qui di narrare due casi, riguardo alla voracità di questa belva, che si sono verificati ai nostri tempi: l’uno presso il fiume Gange, dove un Portoghese, navigando verso la riva del fiume, aveva deviato per desiderio di esplorare; qui, mentre indugiava un po’, poiché la barca rallentava, si accorse che una belva (era un coccodrillo)