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in Aegypto multa et magna est copia, duae autem prae caeteris praegrandes ad ripam Nili spectantur, quas ante Diluvium Schur filium Schaluk filii Schariack erexisse Arabes fingunt. Hermetem propter sapientiam Trismegistum cognomento tandem omnium authorem fuisse, Author in Oedipo l.I. de Obeliscorum Origine demonstrat. Horum itaque Obeliscorum quidam temporum decursu ex Aegyto Romam maximis impensis ab Augustis Caesaribus translati fuerunt, ut ex Plinio probat Kircherus, qui tamen majori ex parte aevo confecti, et truncati, aut etiam integri aedificiorum ruinis sepulti profunda sub terra gemunt. Hodie Romae tredecim superstites sunt: scilicet Flaminius, Lateranensis, Vaticanus, Sanctae MARIAE majoris, Ramessaeus, Mahutaeus, Mediceus, et demum Minervae Alexandri VII]]. auspiciis erutus in foro Minervae elephanti ὀβελισκοφόρῳ hodie incubat. In Musaeo Kircheriano quinque horum secundum omnes sui partes proportionata mole diminuti, et penicillo adumbrati asservantur. Sextus Clementis IX. P.O.M. virtutum immortalibus meritis erectus fuit. Nec immeritò, nam Kircherus uti Restaurator, et interpres Aegyptiorum hieroglyphicorum in Musaeo sibi praesentes esse voluit, ut post immensos labores in eis enodandis exantlatos prototyporum illi vices supplerent, demum merito etiam tam vasti et profundi ingenii aeternaeque famae argumentum in eodem Musaeo veluti Cedro perennius fixi manerent. Debebat quippe tam sublimium rerum studiis indefessus Hercules haec gloriae suae trophaea statuere, quibus suum in reip. litterariae bonum impensi laboris perenne testimonium relinqueret.
Horum Obeliscorum Princeps Flaminius à proxima porta sic nuncupatus, vulgò Porta del popolo dicta, pandit se ad hujus ingressum amplissima area, in cujus medio in altum superbè exurgit, et Romanae majestatis limina veluti magnificè condecorat. Hujus Obeliscum quem primo in Aegipto excisum, ac Heliopoli erectum à Senneferte Aegypti Rege, avulsum inde Caesar Augustus Romam translatum in Circo maximo erigi voluit, quem deinde ob temporis vitia ruinis sepultum Sixtus V. P.O.M. denuo in lucem erectum et in loco ubi hodie visitur spectandum rursus erexit anno M.D.LXXXIX.
Obeliscus Lateranensis à proxima Lateranensi Basilica S. Joannis omnium in urbe et orbe Ecclesiarum Matre nomen accepit; cujus Obelisci author fuit Ramesses Sothis filius, Rex Aegypti, qui postquam complures magnificentia summa extrui fecisset, neque tamen ullus genio suo respondisset; hunc demum et mole et mysteriis reliquis omnibus augustiorem erigi fecit, in cujus fabrica 20 milia hominum teste Plinio feruntur desudasse. Et quoniam res erat periculosa, ne in sublime elatus degravante tam enormi pondere prolaberetur, summo in apice proprium filium alligari jussit, ut vel sic conservandi Regii pueri causa attentiores redderet Architectos. Erectus porro fuit Thebis in templo Solis, cui consecratus perstitit, usque ad annum à Christo nato 334. tempore Constantii Imperatoris, Constantini Magni filii, qui gloriae immortalis cupidus, cum urbem Byzantinum à suo postmodum nomine Constantinopolim dictam Romanae urbi supparem construi jussisset, ne quid illi Romanae deesset majestatis, in tota Aegypto Obeliscos diligenter conquiri jussit, et votis respondit eventus. Repertus tandem Thebis Obeliscus, quem solum Cambysis ira, cum impunè caeteros per urbem absumerent incendia, quasi molis hujus reverentia attoniti indemnem voluit. Hunc itaque avulsum loco, Alexandriam devehi mandavit: verùm augustas cogitationes fata succiderunt, nam

Di queste Piramidi in Egitto ce n’è una grande quantità, ma due assai più grandi delle altre si levano presso la riva del Nilo: gli Arabi immaginano che le abbia erette prima del Diluvio Schur figlio di Schaluk, figlio di Schariack. L’autore però in Edipus Liber I,Sull’origine degli obelischi, dimostra infine che autore di tutte fu quell’Ermete chiamato per la sua sapienza Trismegisto. Ebbene alcuni di questi obelischi col passare del tempo furono trasferiti a Roma dall’Egitto, con enorme spesa, dagli Augusti Cesari come ricorda Kircher citando Plinio; essi però, rovinati per la maggior parte dal tempo e mutilati, o sepolti ancora intatti da rovine di edifici, gemono sotto profondi strati di terra. Oggi a Roma ne rimangono tredici: cioè il Flaminio, il Lateranense, il Vaticano, quello di Santa Maria Maggiore, quello di Ramses, quello di Mahut, il Mediceo e infine quello della Minerva, estratto con gli auspici di Alessandro VII e che oggi nella Piazza della Minerva sormonta l’elefante obeliskophoros. Nel Museo Kircheriano sono conservati cinque di questi, copie in scala, decorate con pitture. Un sesto fu eretto per i meriti immortali delle virtù di Clemente IX, pontefice ottimo massimo. E non senza ragione: infatti Kircher come restauratore ed interprete dei geroglifici egizi volle che essi fossero sempre presenti ai suoi occhi nel Museo, affinché, dopo che egli aveva sopportato le immense fatiche della loro decifrazione, essi facessero le veci degli originali, rimanessero insomma meritatamente come documento di così vasto e profondo ingegno e di eterna fama, stabili nello stesso Museo, più duraturi del Cedro. L’instancabile Ercole aveva il dovere infatti di erigere questi trofei della sua gloria in onore degli studi di argomenti tanto eccelsi, perché grazie ad essi potesse lasciare eterna testimonianza del faticoso impegno a pro del mondo delle lettere.
Il primo di questi obelischi, il Flaminio, così chiamato dalla vicina Porta, volgarmente detta Porta del Popolo, si presenta al suo ingresso, in una piazza assai vasta e si leva superbo nel centro, ornando in modo davvero sontuoso l’accesso alla maestosa città di Roma. L’obelisco di questa porta, originariamente scolpito in Egitto ed eretto ad Eliopoli dal re d’Egitto Senneferte, fu tolto di lì da Cesare Augusto che lo volle trasferire a Roma ed elevare nel Circo Massimo, dove poi rimase sepolto dalle rovine a causa dei guasti provocati dal tempo. Infine Sisto V, P.O.M., lo riportò alla luce e nel 1589 lo innalzò di nuovo proprio nel luogo dove oggi lo si vede, perché fosse ancora ammirato.
L’obelisco Lateranense prese il nome dalla vicina Basilica di San Giovanni in Laterano, madre di tutte le chiese nella città e nel mondo: quest’obelisco si deve a Ramses, figlio di Sothis, re d’Egitto, che dopo averne fatti costruire parecchi di straordinaria bellezza senza che qualcuno davvero corrispondesse al suo gusto, fece infine erigere questo, che era il più maestoso di tutti gli altri per mole e per misteriosità: si racconta che alla sua esecuzione, secondo Plinio, si adoperarono ventimila uomini. E poiché c’era pericolo che nell’issarlo precipitasse, a causa del peso di una massa così enorme, ordinò che in cima fosse legato il proprio figliolo, perché la necessità di salvare il regale fanciullo facesse più accorti gli architetti. Fu poi innalzato a Tebe nel tempio del Sole, al quale rimase dedicato fino al 334 d.C., ai tempi dell’imperatore Costanzo, figlio di Costantino il Grande, che, desideroso di gloria immortale, fatta costruire la città di Bisanzio quasi a somiglianza della città di Roma, e chiamata da allora in poi Costantinopoli dal suo nome, perché nulla le mancasse della maestà romana, fece cercare scrupolosamente in tutto l’Egitto gli obelischi. E gli arrise il successo. Fu trovato infine l’obelisco a Tebe, il solo che l’ira di Cambise avesse risparmiato, perché in qualche modo sbigottito e intimorito dalla sua mole, mentre aveva distrutto con le fiamme tutti gli altri in città. Lo portò via e lo volle spedire ad Alessandria: il fato però deluse gli augusti programmi,