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Illustrissimo, e Reverendissimo Signore,
Confesso, che mi mortifico assai, vedendo non bavere potuto servire à chi tanto di cuore desideravo sodisfare; mà hora che lei mi comanda una cosa piu difficile, non sò come potrò compiacerla; ma ne'anco sò come potrò negargli almeno di fare quel poco, che sarà in me. Lei mi domanda, come si debbia comportare, per far'un Arcivescovo Santo. Al che rispondo, che ancora io ho desiderato grandemente di trovare il modo di essere un'Arcivescovo Santo; et perche non sapevo trovare questo modo. Iddio ha permesso, che il nostro santo Padre Papa Paulo Quinto mi habbia comandai, che non mi parta di Roma; et perche io non potevo sopportare di essere Arcivescovo, e non risedere nella mia Chiesa, mi sentii obligato a lassare la Chiesa ad un altro, che facesse la debita residenza. Et così Iddio vedendo che non trovavo il modo di farmi buon'Arcivescovo, mi ha fatto lassare l'Arcivescovado in quel modo, che è parso alla sua Divina Previdenza. Hora se io non hò saputo trovar'il modo per me stesso, come potrò insegnarlo ad altri? Et se pure V.S. Rev.ma mi costringe à dirgli in che modo io procuravo di farmi buon'arcivescovo in quel triennio che fui Arcivescovo nella nobile et antica Città di Capua, io gli diro, che il modo era di mirare assiduamente come in uno specchio lucidissimo le vite et attieni di quelli, che sono stati buonissimi et perfettissimi Arcivescovi, et procurando per quanto Iddio mi concedeva, emendare le mie imperfettioni, et con formare le mie attieni secondo l'essemplare, che havevo avanti gl' occhi. Onde del continuo erano sopra la mia tavola le Vite de Santi Vescovi et Arcivescovi, passando per ordine tutti li Tomi del Surio, non leggendo pero altre Vite, che quelle de Santi Vescovi et Arcivescovi, come di Sant'Ambrogio, di San Martino, di Sant'Agostino, di San Germano Antisiodorense, di Sant'Anselmo Cantuariense, di Sant'Antonino Fiorentino, di San Lorenzo Patriarca di Venetia, et per lassare gl'altri, con multo gusto et non minor frutto leggevo
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