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Il.mo e Rever.mo Mons.r mio col.mo.
Se io per avventura di memoria caduto a V.S. Ill.ma e posso parere presuntuoso, in raccomandarmi a lei per me stesso, do vendo uomo di bassa fortuna per mezzano di molta autorità entrare nella considerazione di eminente cardinale, questo fallo, se pur è fallo, s'arrechi anzi all'opera sue divine, che ad arroganza mia. Perciocchè, come l'eccellentissimo spirito suo mi è stato familiarissimo nella universale piazza di suoi volumi, così mi detta l'abito della mia singolare devozione verso lei, quindi nato non già, ma rinnovato, o, per dir meglio, più profondamente radicato, mi detta, dico, non essere disdicevole all'animo mio, nel secreto di questa carta, al cospetto di lei familiarmente esporsi con riverenza, insinuando chi egli si sia, quale lui sorte, e il desiderio. Io dunque son il canonico teologo della chiesa cattedrale di Bergamo, patria mia, per debito di coscienza, e per buon esempio osservatore dell'interdetto di N.S. nello stato Veneziano; che perciò accusato presso i rettori della città, e rappresentato nelle loro forze ho disprezzata la morte, nonchè da quello stato il perpetuo bando, con la privazione di tutti i beni secolari e ecclesiastici. In questa (secondo l' avviso de miei attinenti) misera fortuna, ma divino destino secondo me, quasi per due mesi in Mantova ho fatto dimora, procurando più che posso riparare i frangenti di casa mia. Ne altra occasione per se stessa mi vi trattiene, ne di convenevole trattenimento per l'avvenire mi vien data speranza; ma ben son consigliato di andare a Roma, e mi piace questo consiglio, non già per uccellare titoli de benefici,o vero pensioni, ma per far riverenza alla regina della religione, e par far umile, fedele e domestica servitù, non dirò a chi fosse a lei pari, non avendo, per mia opinione, pari veruno, ma per farla singolarmente a V.S. Ill.ma e Rev.ma. Ne a ciò fare io trovo altro intoppo, se non che penso
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