Molto Rev.do in Cristo Padre.
Pax Christi. Resto meravigliato, che V. R. nella sua del 25 di giugno dice, che non ha ricevuto altro che una mia di poche righe; avendo io risposto a tutte le sue, che sono quattro o cinque, e per il più di mano propria, e assai a lungo. Questa è la mia disgrazia. Quanto al negozio di quella Signora non occorre parlar al Papa, perché la Penitenzieria può rimediare a tutti questi casi, e la settimana seguente manderò un breve spedito con facoltà d'assolvere e dispensare ampiamente, come lei desidera. Al Papa avrei parlato, se fosse stato necessario; ma non è bene, quando non è necessario, perché S. Santità è più scrupolosa e difficile, che non è la Penitenzieria, come io già più volte ho provato.
Del resto attendo il meglio che posso a portar il peso impostomi. Ma confesso a V. R. che vedendomi servito con tanta diligenza, e avendo molte comodità temporali, che il grado porta seco, se bene procuro non ci mettere affezione; ho talvolta paura che non mi sia detto: Recepisti mercedem tuam; e di non esser di quelli, dei quali è scritto: In Labore hominum non sunt. Però non sapendo che farmi, mi raccomando ai servi di Dio, che non essendo io degno del consorzio loro, né atto per me ad acquistare il Regno, almeno loro mi tirino seco ad eterna tabernacula. Buona volontà e fermo proposito ho di non offendere Dio, di non arricchire, né ingrandir i parenti, di non tener cose soverchie, di non ambir gradi maggiori, anzi fuggirli, quando ci fosse pericolo, totis viribus; di non dar scandalo in cosa veruna, dir la messa ogni giorno, come ho fatto sempre. Ma questo non basta. Spesso mi passa per lo pensiero di rinunciar il cappello; ma non ci vego modo; perché non saria ammessa la rinuncia, né so se piacesse a Dio. Il fare novità nel vitto e vestito, o in tener pochissimi servitori, parrebbe
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