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Beatissimo Padre. Supplico con ogni umiltà e riverenza la Santità vostra, che si degni leggere questa scrittura, e poi bruciarla, perchè desidero non sia vista da altri.
l'altra sera V.B. si degnò leggermi due luoghi di S. Agostino, dai quali si provava, che Pelagio non negasse la grazia e illuminazione interiore. Io che sapevo d'onde fossero presi, andai subito a rileggerli nel libro de grazia Cristi, cap. 9 e 10, e vidi che S. Agostino negli stessi luoghi dichiara e mostra, che Pelagio con quelle belle parole copriva i suoi errori, e non confessava altra grazia, ne altro adjuto, ne altra illuminazione, che della legge e dottrina esteriore; e dopo molte parole conclude nel cap. 9: "Quid juvat Pelagium, quia diversis verbis eamdem rem dicit, ut non intelligatur in lege atque doctrina gratiam constituere?" E poco dopo: "Latere se putat cum aliis atque aliis locutionibus vertat significationem legis, atque doctrinae." E nel libro de heresibus, di Pelagiali dice cosi: "Illam vero gratiam sine qua nihil possumus facere boni, non esse dicunt nisi in libero arbitrio, quod nullis suis praecedentibus meritis ab ilio accepit nostra natura, ad hoc tantum ipso adjuvante per legem atque doctrinam, ut discamus quid facere,atque sperare debeamus." Il medesimo dice nell'epistola 107, e in ogni altro luogo. E che la dottrina, e illuminazione e persuasione interiore, non sia quella dottrina, che confessava Pelagio, ma sia la vera grazia, che essa negava, si vede in S. Agostino in infiniti luoghi, particolarmente nel cap. 8 de Praedestinatione Sanctorum: "Valde remota est a sensibus carnis haec schola in qua Pater auditur, et docet ut veniatur ad filium; ibi est et ipse filius quia ipse est Verbum ejus, per quod docet, ncque hoc agit cum carnis aure, sed cordis. Nimirum
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