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La novità indicherebbe una particolare attenzione verso l'informazione. L'informazione si espone sui tavoli delle fiere dove si apprezzano le [https://www.museogalileo.it/istituto/mostre-virtuali/vespucci/iconografia/nova_reperta.html ''nove reperta''], ma è anche urlata nel vociare dei venditori delle "nuove gazzette". Questi primi mezzi di diffusione mettono al centro non tanto la questione della verità, con tutti i suoi elementi polemogeni, ma il tema dell'informazione intesa come ''a difference that makes a difference'' <ref>Bateson, G. | La novità indicherebbe una particolare attenzione verso l'informazione. L'informazione si espone sui tavoli delle fiere dove si apprezzano le [https://www.museogalileo.it/istituto/mostre-virtuali/vespucci/iconografia/nova_reperta.html ''nove reperta''], ma è anche urlata nel vociare dei venditori delle "nuove gazzette". Questi primi mezzi di diffusione mettono al centro non tanto la questione della verità, con tutti i suoi elementi polemogeni, ma il tema dell'informazione intesa come ''a difference that makes a difference'' <ref>Bateson, G. | ||
''Verso un’ecologia della mente'', 1993, Adelphi, Milano.</ref>. L'informazione, per essere tale, dovrà essere nuova. Le notizie dovranno essere soprattutto "fresche". Un caso estremo, ma nondimeno esemplare, di questa scissione tra verità e informazione fu la "guerra delle nove", durante il XVI secolo, che vide coinvolti la Repubblica di Ragusa, Venezia e il Turco.<br> | ''Verso un’ecologia della mente'', 1993, Adelphi, Milano.</ref>. L'informazione, per essere tale, dovrà essere nuova. Le notizie dovranno essere soprattutto "fresche". Un caso estremo, ma nondimeno esemplare, di questa scissione tra verità e informazione fu la "guerra delle nove", durante il XVI secolo, che vide coinvolti la Repubblica di Ragusa, Venezia e il Turco.<br> | ||
− | La piccola Repubblica di Ragusa, tra la fine del XIV e la metà del XVI secolo, è al centro di un traffico molto attivo di informazioni grazie alle quali ottiene uno spazio strategico tra le repubbliche e gli imperi. Nella | + | La piccola Repubblica di Ragusa, tra la fine del XIV e la metà del XVI secolo, è al centro di un traffico molto attivo di informazioni grazie alle quali ottiene uno spazio strategico tra le repubbliche e gli imperi. Nella seconda metà del Quattrocento la Repubblica offre ai re di Napoli, posteriormente a Carlo V e al papa, delle ''novelle'' riguardo le galere veneziane e altre novità dei Balcani e dei Turchi. Altrettanto farà con il doge offrendogli qualche ''turchesca'' sui movimenti delle navi turche, con la sufficiente cautela per non destare alcun sospetto da parte dal Sultano. Dopo la battaglia di [https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Moh%C3%A1cs Mohàcs] (1526), vittoria di Solimano I sugli ungheresi che implicò un aumento della potenza dell'impero ottomano, Ragusa comincerà a informare in modo più deciso ai turchi sui movimenti navali di Occidente. Il Rector di Ragusa vietò severamente gli informatori privati creando così un vero monopolio dell'informazione. L'informazione più che una comunicazione si convertì in una vera e propria merce di scambio per tener saldo il moto della Repubblica: ''Non bene pro toto libertas venditur auro''; se la libertà non si vende per tutto l'oro del mondo la si può forse assicurare con lo scambio d'informazione.<br><lb/> |
[[File:Newspaperman.jpg|thumb|"''Il gazzettiere si corica tranquillo a sera con una notizia che, alteratasi nella notte, è costretto ad abbandonare al suo risveglio.''"<ref>Jean de la Bruyère; ''Les Caractères ou Les Mœurs de ce Siècle'', 33.</ref>]] | [[File:Newspaperman.jpg|thumb|"''Il gazzettiere si corica tranquillo a sera con una notizia che, alteratasi nella notte, è costretto ad abbandonare al suo risveglio.''"<ref>Jean de la Bruyère; ''Les Caractères ou Les Mœurs de ce Siècle'', 33.</ref>]] | ||
Non è l'arte dei gazzettanti<ref>Sull'origine della "gazzetta" si veda Infelise, Mario; ''Gazzetta. Storia di una parola''; 2017, Venezia.</ref>, né i fogli di nove, né il bisogno di conoscere in anticipo le mosse del turco, nemmeno la stampa stessa a generare questo vortice di novità. La sete di novità, che il successo dell'informazione evidenzia, è sintomo di un passaggio epocale di un sistema sociale che si evolve da una differenziazione interna di tipo gerarchico verso una società differenziata funzionalmente. La stampa, in questo passaggio è un fattore evolutivo al suo servizio e trova, in questa congiuntura di progressiva differenziazione, una opportunità per il suo sviluppo. | Non è l'arte dei gazzettanti<ref>Sull'origine della "gazzetta" si veda Infelise, Mario; ''Gazzetta. Storia di una parola''; 2017, Venezia.</ref>, né i fogli di nove, né il bisogno di conoscere in anticipo le mosse del turco, nemmeno la stampa stessa a generare questo vortice di novità. La sete di novità, che il successo dell'informazione evidenzia, è sintomo di un passaggio epocale di un sistema sociale che si evolve da una differenziazione interna di tipo gerarchico verso una società differenziata funzionalmente. La stampa, in questo passaggio è un fattore evolutivo al suo servizio e trova, in questa congiuntura di progressiva differenziazione, una opportunità per il suo sviluppo. |
Revision as of 13:49, 1 June 2019
A partire dal cinquecento le Jahrmarkt (fiere dell'anno) si convertiranno in nodi basilari per lo scambio commerciale. Molte di queste fiere già presenti nel XII secolo, perché organizzate dopo la messa domenicale, si denominarono anche Messe. La più importante di queste fiere è stata quella della contea della Champagne. Questo spostamento semantico andrà di pari passo con una crescente centralità di queste manifestazioni al punto di soppiantare e diventare autonome dagli eventi religiosi ai quali in origine erano legate. Man mano si sposteranno dai pressi della piazza della cattedrale per celebrarsi fuori dalla cinta muraria. Questi mercati si convertiranno in "fiere delle novità" e soddisfano, in qualche modo, una sete di novità e curiosità. Così un testo sulla fiera a Strasburgo nel XVI secolo:
... i ventiduemila abitanti aprivano due volte l'anno le loro porte per accogliere all'incirca centomila visitatori della fiera. Questi arrivano in nave, in carrozza o a piedi; giungevano da Londra, Anversa, Lione e Venezia, ma anche dai villaggi vicini della regione e ogni volta, per tre settimane, trasformavano l'intera vita della città. Come in un gigantesco bazar per strade e piazze, nelle case e persino nei conventi si poteva ammirare sorpreso quanto l'abilità umana aveva fabbricato: i prodotti più scelti dell'artigianato, le invenzioni tecniche più recenti, merci esotiche d'oltremare, dipinti, libri dotti e di attualità come le «nuove gazzette» che venivano esposte o cantate dai loro stessi autori[1].
Allo storico potrebbe interessare l'emergenza di questa costrizione sistemica alla novità, davanti alla quale la comunicazione religiosa o politica dei secoli XVI e XVII vedrà in essa qualcosa di temerario mentre nell'ambito commerciale sarà d'allora apprezzata al punto tale da essere considerata un motore per l'interscambio. Gradualmente i sistemi religioso e politico invertiranno la loro valutazione negativa per associare alla novità un qualcosa di virtuoso e di necessario. Da l'impressione che i mercati abbiano assorbito più facilmente l'incertezza e la variabilità e sfruttino queste condizioni per muovere l'offerta e la domanda. Invece, per il sistema religioso l'incertezza è percepita solo nei suoi aspetti minacciosi e postula l'equilibrio e la stabilità come valori.
La novità indicherebbe una particolare attenzione verso l'informazione. L'informazione si espone sui tavoli delle fiere dove si apprezzano le nove reperta, ma è anche urlata nel vociare dei venditori delle "nuove gazzette". Questi primi mezzi di diffusione mettono al centro non tanto la questione della verità, con tutti i suoi elementi polemogeni, ma il tema dell'informazione intesa come a difference that makes a difference [2]. L'informazione, per essere tale, dovrà essere nuova. Le notizie dovranno essere soprattutto "fresche". Un caso estremo, ma nondimeno esemplare, di questa scissione tra verità e informazione fu la "guerra delle nove", durante il XVI secolo, che vide coinvolti la Repubblica di Ragusa, Venezia e il Turco.
La piccola Repubblica di Ragusa, tra la fine del XIV e la metà del XVI secolo, è al centro di un traffico molto attivo di informazioni grazie alle quali ottiene uno spazio strategico tra le repubbliche e gli imperi. Nella seconda metà del Quattrocento la Repubblica offre ai re di Napoli, posteriormente a Carlo V e al papa, delle novelle riguardo le galere veneziane e altre novità dei Balcani e dei Turchi. Altrettanto farà con il doge offrendogli qualche turchesca sui movimenti delle navi turche, con la sufficiente cautela per non destare alcun sospetto da parte dal Sultano. Dopo la battaglia di Mohàcs (1526), vittoria di Solimano I sugli ungheresi che implicò un aumento della potenza dell'impero ottomano, Ragusa comincerà a informare in modo più deciso ai turchi sui movimenti navali di Occidente. Il Rector di Ragusa vietò severamente gli informatori privati creando così un vero monopolio dell'informazione. L'informazione più che una comunicazione si convertì in una vera e propria merce di scambio per tener saldo il moto della Repubblica: Non bene pro toto libertas venditur auro; se la libertà non si vende per tutto l'oro del mondo la si può forse assicurare con lo scambio d'informazione.
Non è l'arte dei gazzettanti[4], né i fogli di nove, né il bisogno di conoscere in anticipo le mosse del turco, nemmeno la stampa stessa a generare questo vortice di novità. La sete di novità, che il successo dell'informazione evidenzia, è sintomo di un passaggio epocale di un sistema sociale che si evolve da una differenziazione interna di tipo gerarchico verso una società differenziata funzionalmente. La stampa, in questo passaggio è un fattore evolutivo al suo servizio e trova, in questa congiuntura di progressiva differenziazione, una opportunità per il suo sviluppo. A partire dal XVII secolo alcuni libri scientifici includeranno nei loro titoli la parola novus[5]. All'interno della corrispondenza di Bellarmino può notarsi questa costrizione a selezionare "novità":
Oltre che come mi disse il libraro quando si comprano libri alle fiere in gran numero, i mercanti non hanno tempo di leggerli per intendere ciò che contengono, anzi basta loro di veder dall'iscrizione che sono libri nuovi per muoversi a comprarli per la sola novità de la quale in particolare gli Inglesi sono curiosissimi. Il nunzio di Cologna a Roberto Bellarmino, 20 settembre 1608
Gradualmente i contenuti si dovranno presentare sotto la veste dell'innovazione, si direbbe oggi. L'innovazione così si aprirà lentamente la strada fino ad apparire come una tendenza normale che presuppone una attesa di progresso e di futuro. L'informazione è un indicatore di questa ansia di novità che esclude la ripetizione sulla quale si assicurava il sapere. In questo senso ci troviamo davanti a una trasformazione epocale della conoscenza. Perseguire le novità, al ritmo incalzante delle notizie sempre fresche, implicherà un'alterazione del ritmo della lettura medievale e pertanto dell'apprendimento: Aiunt enim multum legendum esse, non multa (Plinio il Giovane, Epist. 7,9). Potrebbe evidenziarsi qui un capovolgimento della profondità in favore della superficialità. Se una certa tradizione epistemologica indicava che per comprendere era necessario andare al di là di ciò che appare in superficie, con il crescente aumento d'informazioni ci si dovrà orientare velocemente per riuscire a stare a galla ed stabilire il maggior numero di collegamenti possibili. Gli sviluppi di indici, tabelle e marginalia nei testi a stampa potrebbero testimoniare questo cambiamento per offrire al lettore strumenti di orientamento. Questa trasformazione parla anche di un mutamento del significato del tempo in virtù del quale il presente non rappresenterà più l'eternità di Dio in tutti i presenti ma soltanto l'istante che determina la differenza tra passato e futuro.
L'effetto di questa corsa semantica di ciò che è nuovo non lo si riconosce nella forma della concettualizzazione ma nei cambiamenti riguardo l'idea di presente -nel quale soltanto ciò che è nuovo può essere nuovo-. Ora il presente non è più la presenza dell'eternità del tempo e nemmeno esclusivamente la situazione nella quale -in vista della salvezza dell'anima- si può decidere a favore o contro il peccato. Presente non è un altra cosa che la differenza tra passato e futuro.[6]
L'evoluzione del concetto di novitas sta a indicare una catastrofe semantica; catastrofe intesa, partendo dalla sua etimologia (καταστρέϕω="capovolgere"), come cambiamento qualitativo brusco, prodotto da un’ evoluzione graduale e continua. L'eruzione vulcanica può ben rappresentare questa evoluzione inaugurando nuove realtà geologiche e ambientali che si aprono a nuove stabilità. La catastrofe, così concepita, non ha mai un segno univoco: alcuni potrebbero osservare in essa "distruzione" altri "opportunità".
La novità, in quanto schema di osservazione, ha bisogno del contra-concetto di "vecchio". Una crescente valorizzazione degli antichi, dei classici, così come si è registrata per esempio a partire del Rinascimento, permetterà di creare degli spazi per la produzione di novità. Dopo la Rivoluzione Francese si consoliderà questa valorizzazione, utile anche a segnare la frontiera tra Ancien Régime e presente rivoluzionario in vista di un futuro inteso come progresso.
Florilegium
- Gran hechizo es el de la novedad, que como todo lo tenemos tan visto, pagámonos de juguetes nuevos, así de la naturaleza como del arte, haciendo vulgares agravios a los antiguos prodigios por conocidos: lo que ayer fue un pasmo, hoy viene a ser desprecio, no porque haya perdido de su perfección, sino de nuestra estimación; no porque se haya mudado, antes porque no, y porque se nos hace de nuevo. Redimen esta civilidad del gusto los sabios con hacer reflexiones nuevas sobre las perfecciones antiguas, renovando el gusto con la admiración. [7]
- Válgase de su novedad, que mientras fuere nuevo, será estimado.[8]
- [A] Io scuserei volentieri il nostro popolo di non avere altro modello né altra regola di perfezione che i propri costumi e le proprie usanze: infatti è vizio comune non del volgo soltanto, ma di quasi tutti gli uomini, di mirare alla maniera di vivere in cui sono nati e limitarsi ad essa. Mi sta bene che questo popolo, vedendo Fabrizio o Lelio, trovi barbari il loro contegno e il loro portamento, poiché non sono vestiti né acconciati alla nostra moda. Ma mi rammarico della sua singolare mancanza di discernimento nel lasciarsi a tal punto ingannare e accecare dall’autorità dell’uso attuale, da esser capace di cambiar parere e opinione tutti i mesi, se così piace alla moda; e da dare giudizi così disparati su se stesso. Quando si portava la stecca del giustacuore alta sul petto, si sosteneva con argomenti fervorosi che quello era il suo posto; qualche anno dopo, ecco la stecca discesa fino alle cosce: ci si burla dell’altra usanza, la si trova scomoda e insopportabile. L’attuale maniera di vestirsi fa immediatamente condannare l’antica, con una risolutezza così grande e un consenso così generale, che direste che è una specie di mania che stravolge in tal modo il cervello. Poiché il nostro cambiamento in questo è così pronto e improvviso che l’inventiva di tutti i sarti del mondo non saprebbe fornire sufficienti novità, è giocoforza che molto spesso le fogge disprezzate tornino in credito, e poco dopo cadano di nuovo in disprezzo; e che uno stesso giudizio adotti, nello spazio di quindici o vent’anni, due o tre opinioni non solo diverse, ma contrarie, con un’incostanza e una leggerezza incredibili. [C] Non c’è nessuno fra noi tanto accorto da non lasciarsi intrappolare in questa contraddizione, e abbarbagliare così la vista interna come quella esterna senza accorgersene.
[9] - Mi trovavo or ora su quel passo dove Plutarco dice di se stesso che mentre Rustico assisteva a una sua orazione a Roma, ricevette un plico da parte dell’imperatore e indugiò ad aprirlo finché tutto fu finito: per cui (egli dice) tutti i presenti lodarono straordinariamente la gravità di quel personaggio. Invero, poiché egli stava parlando della curiosità, e di quella passione avida e golosa di notizie che ci fa abbandonare qualsiasi cosa con tanta indiscrezione e impazienza per occuparci di un nuovo venuto, e perdere ogni rispetto e ogni ritegno per dissuggellare subito, dovunque ci troviamo, le lettere che ci sono state portate, ha avuto ragione di lodare la gravità di Rustico; e poteva anche aggiungervi la lode della sua educazione e cortesia per non aver voluto interrompere il corso dell’orazione.[10]
- Il gazzettiere si corica tranquillo a sera con una notizia che, alteratasi nella notte, è costretto ad abbandonare al suo risveglio.[11]
References
- ↑ K. Kroll, Körperbegabung versus Verkörperung. Das Verhältnis und Geist im frühneuzeitlichen Jahrmarktspektakel in Erika Fischer-Lichte, Christian Hornund Matthias Warstat (ed) Verkörperung, 2001, p. 37.
- ↑ Bateson, G. Verso un’ecologia della mente, 1993, Adelphi, Milano.
- ↑ Jean de la Bruyère; Les Caractères ou Les Mœurs de ce Siècle, 33.
- ↑ Sull'origine della "gazzetta" si veda Infelise, Mario; Gazzetta. Storia di una parola; 2017, Venezia.
- ↑ Si veda a questo riguardo Cevolini, A., De Arte Excerpendi. Imparare a dimenticare nella modernità, 2006, p. 54 e ss.
- ↑ Luhmann. N., La sociedad de la sociedad. México, 2006, p. 796.
- ↑ Gracián, El Criticón, crisis III.
- ↑ Gracián, Oráculo manual y arte de prudencia, 269.
- ↑ Montaigne, Michel de., Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon, 2012, Milano, Lib. I, Cap. XLIX, Dei costumi antichi.
- ↑ Montaigne, Michel de., Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon, 2012, Milano, Lib. II, Cap. IV, A domani gli affari .
- ↑ Jean de la Bruyère; Les Caractères ou Les Mœurs de ce Siècle, 33.
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