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Già che N.ro Signore per sua grazia ci ha dato V.S. Ill.ma per protettore, la cui bontà, integrità e religione è nota a tutto il mondo, speriamo sotto la sua protezione e governo esser provviste nelle nostre necessità, particolarmente queste povero monastero di Napoli col favore suo levarsi da un duro et insopportabile giogo e tirannide in che si ritrova per esser governato dal P.Maestro Tomaso di Chieti, abate ora sono tredici anni continui, e sarà in vita se Dio e V.S. Ill.ma non ci rimedia. Quale non da padre, ma da tiranno si porta con i monaci. Saprà V.S. Ill.ma che in questo tempo ha maneggiato oltre l'entrate del monastero ordinarie da ventimila ducati dateli dalla religione per fabbriche, e pochi ne appaiono in essere, si che sarebbe grandissimo utile della religione rivederli questi conti, acciò il monastero non fosse defraudato, e si facesse qual beneficio per il quale si sono sposseduti tanti altri monasteri. Egli di più da sei anni in qua se ha tenuto il possesso di una masseria comprata dal monastero i cui frutti se l'ha appropriato a se facendola sino chiamare massariola sua, e tuttavia segue nello stesso stile dove appena i poveri monaci possono andare a diporto. Tratta malissimo i monaci si nel vitto come nel procedere infiorandoli, in guisa che par piuttosto commendatore di quel luogo che ministro, e i monaci servi, che figlioli. Non va mai all'officio ne di giorno ne di notte, e tiene quattro appartamenti per se nel monastero, ne va mai alla mensa comune e si spende più per la bocca sua sola che per tutti i padri come appare nel libro giornale del spenditore, con tutto che quel monastero abbi quattromila ducati d'entrata. E quel che più importa, non fa soddisfare gli obblighi della chiesa, si che essendone ogni giorno nella nostra chiesa obbligo almeno di quindici messe, non se ne dicono neanche dieci, e quelle tutte vanno all'altare privilegiato, le elemosine delle quali se le piglia il sacrestano, facendo
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Ill.mo et R.mo Sig.re
Già che N.ro Signore per sua grazia ci ha dato V.S. Ill.ma per protettore, la cui bontà, integrità e religione è nota a tutto il mondo, speriamo sotto la sua protezione e governo esser provviste nelle nostre necessità, particolarmente queste povero monastero di Napoli col favore suo levarsi da un duro et insopportabile giogo e tirannide in che si ritrova per esser governato dal P.Maestro Tomaso di Chieti, abate ora sono tredici anni continui, e sarà in vita se Dio e V.S. Ill.ma non ci rimedia. Quale non da padre, ma da tiranno si porta con i monaci. Saprà V.S. Ill.ma che in questo tempo ha maneggiato oltre l'entrate del monastero ordinarie da ventimila ducati dateli dalla religione per fabbriche, e pochi ne appaiono in essere, si che sarebbe grandissimo utile della religione rivederli questi conti, acciò il monastero non fosse defraudato, e si facesse qual beneficio per il quale si sono sposseduti tanti altri monasteri. Egli di più da sei anni in qua se ha tenuto il possesso di una masseria comprata dal monastero i cui frutti se l'ha appropriato a se facendola sino chiamare massariola sua, e tuttavia segue nello stesso stile dove appena i poveri monaci possono andare a diporto. Tratta malissimo i monaci si nel vitto come nel procedere infiorandoli, in guisa che par piuttosto commendatore di quel luogo che ministro, e i monaci servi, che figlioli. Non va mai all'officio ne di giorno ne di notte, e tiene quattro appartamenti per se nel monastero, ne va mai alla mensa comune e si spende più per la bocca sua sola che per tutti i padri come appare nel libro giornale del spenditore, con tutto che quel monastero abbi quattromila ducati d'entrata. E quel che più importa, non fa soddisfare gli obblighi della chiesa, si che essendone ogni giorno nella nostra chiesa obbligo almeno di quindici messe, non se ne dicono neanche dieci, e quelle tutte vanno all'altare privilegiato, le elemosine delle quali se le piglia il sacrestano, facendo
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