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Lo schema di osservazione ''tempus/aeternitas'', che oggi potremmo coniugare come ''immanenza/trascendenza'', dalla prima modernità conoscerà nuove semantizzazioni grazie alle quali diventa sempre più improbabile ricondurre l’orizzonte dell’esperienza verso l’eternità. Alla idea di un presente, che si collocava come un ponte tra il passato e il futuro si sostituisce la idea di crepa che separa lo spazio della esperienza dall'orizzonte delle aspettative. Si dovrà fare i conti con l’incostanza, con la difficoltà di previsione del futuro, insomma con quello che è il nostro pane quotidiano: il rischio.<lb/> | Lo schema di osservazione ''tempus/aeternitas'', che oggi potremmo coniugare come ''immanenza/trascendenza'', dalla prima modernità conoscerà nuove semantizzazioni grazie alle quali diventa sempre più improbabile ricondurre l’orizzonte dell’esperienza verso l’eternità. Alla idea di un presente, che si collocava come un ponte tra il passato e il futuro si sostituisce la idea di crepa che separa lo spazio della esperienza dall'orizzonte delle aspettative. Si dovrà fare i conti con l’incostanza, con la difficoltà di previsione del futuro, insomma con quello che è il nostro pane quotidiano: il rischio.<lb/> | ||
Numerosi esempi possono trovarsi tra le lettere di Roberto Bellarmino riguardo questa osservazione moderna del tempo. C'è uno slittamento nell'ordine dei doveri; quelli che erano prettamente religiosi cominciano ad essere esigenze di una agenda: [[Page:EBC 1613 12 28 1358.pdf/1|''Non ho tempo di esser più lungo, per la moltitudine di visite, et lettere''.]] A sua sorella Camilla, la quale gli rimprovera che a poche settimana di avergli mandati i suoi saluti non ha ricevuto ancora risposta, il cardinale confessa che: [[Page:EBC 1599 03 25 0025.pdf/1|''In questo principio sono tanto occupato che non ho tempo di respirare'']]. Per il cardinale [[Name::Tarugi, Francesco Maria|Francesco Maria Tarugi]], congratulandosi col Bellarmino per il suo titolo cardinalizio, l'esigenza di quell'agenda non sono altra cosa che una perdita di tempo: [[Page:EBC 1599 03 06 0013.pdf/1|''I concistorii, le messe, le congregationi, le visite et revisite, li faranno far' multa jattura di pretioso tempo'']]. Ancora per Tarugi, la serie di impegni che determinano il ritmo della giornata e ubbidivano a una logica di tipo politico e sociale, erano considerati una perdita di tempo alla stregua della considerazione riguardo i giochi d'azzardo<ref>Cfr. [[User:Martín_M._Morales/Notepad/Gioco|Notepad]]</ref>: [[Page:EBC 1602 o 1603 0306.pdf/1|''E da questi giochi ne nascono bestemmie orrende, rubamenti continui, rovine delle case, oltre la perdita di tempo'']]. Precisamente, questo apprezzamento del tempo come bene scarso implicherà, in parte grazie alla tecnica, uno sforzo per misurarlo, organizzarlo e così anche "accorciare" la distanza con il futuro che lo si potrà "vedere" perfino nelle pagine vuote dell'agenda. Il perdere tempo è, in certo modo, conseguenza dell'orologio che lo misura. La tecnologia dispiega un paradosso similare: quanto piè tempo guadagnamo grazie ad essa la percezione del tempo ci appare piè scarso. | Numerosi esempi possono trovarsi tra le lettere di Roberto Bellarmino riguardo questa osservazione moderna del tempo. C'è uno slittamento nell'ordine dei doveri; quelli che erano prettamente religiosi cominciano ad essere esigenze di una agenda: [[Page:EBC 1613 12 28 1358.pdf/1|''Non ho tempo di esser più lungo, per la moltitudine di visite, et lettere''.]] A sua sorella Camilla, la quale gli rimprovera che a poche settimana di avergli mandati i suoi saluti non ha ricevuto ancora risposta, il cardinale confessa che: [[Page:EBC 1599 03 25 0025.pdf/1|''In questo principio sono tanto occupato che non ho tempo di respirare'']]. Per il cardinale [[Name::Tarugi, Francesco Maria|Francesco Maria Tarugi]], congratulandosi col Bellarmino per il suo titolo cardinalizio, l'esigenza di quell'agenda non sono altra cosa che una perdita di tempo: [[Page:EBC 1599 03 06 0013.pdf/1|''I concistorii, le messe, le congregationi, le visite et revisite, li faranno far' multa jattura di pretioso tempo'']]. Ancora per Tarugi, la serie di impegni che determinano il ritmo della giornata e ubbidivano a una logica di tipo politico e sociale, erano considerati una perdita di tempo alla stregua della considerazione riguardo i giochi d'azzardo<ref>Cfr. [[User:Martín_M._Morales/Notepad/Gioco|Notepad]]</ref>: [[Page:EBC 1602 o 1603 0306.pdf/1|''E da questi giochi ne nascono bestemmie orrende, rubamenti continui, rovine delle case, oltre la perdita di tempo'']]. Precisamente, questo apprezzamento del tempo come bene scarso implicherà, in parte grazie alla tecnica, uno sforzo per misurarlo, organizzarlo e così anche "accorciare" la distanza con il futuro che lo si potrà "vedere" perfino nelle pagine vuote dell'agenda. Il perdere tempo è, in certo modo, conseguenza dell'orologio che lo misura. La tecnologia dispiega un paradosso similare: quanto piè tempo guadagnamo grazie ad essa la percezione del tempo ci appare piè scarso. | ||
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* L. Mercier; [https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6571684d L'An deux mille quatre cent quarante . Rêve s'il en fût jamais.] Paris, 1771. | * L. Mercier; [https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6571684d L'An deux mille quatre cent quarante . Rêve s'il en fût jamais.] Paris, 1771. |
Revision as of 17:30, 27 September 2024
Excerpta
La distinzione del tempo, nel secolo XVII, seguendo alcuni detti popolari, oscilla tra un tempo governato dalla Provvidenza: “con il tempo si vedrà”, “dare tempo al tempo”, “con il tempo e con la paglia s’ammaturano le nespole” o “la verità è figlia del tempo”, e una rappresentazione del tempo che man mano si presenta come avaro tiranno: “non ho tempo di farmi la Croce”. In quel secolo arriva ancora l’antico proverbio “dare tempo al tempo”, che rasserenava e affidava l’incertezza dell’uomo a un tempo artefice, trattenendolo dalla fretta di decidere, ma già si contamina con delle urgenze risolutorie che generarono nuovi modi di dire: “chi ha tempo e tempo aspetta, tempo perde”[1]. A partire di questi ed altri indizi, possiamo considerare che il tempo comincia ad essere osservato come accelerato e come un bene prezioso precisamente perche sempre scarseggia. Con il progredire delle scienze della natura sarà sempre più difficile riconoscere nel tempo la sua capacità di produrre effetti.
Il tempo appare come un vero potere mondano, da non perdere. Il gesuita Juan Eusebio Nieremberg (1595-1658) considerando il valore del tempo riscatta un’antica sentenza di San Bernardino da Siena, pur riconoscendo che ha qualcosa di “esagerato”: Il tempo di questa vita vale tanto, che San Bernardino disse questa esagerazione: il tempo tanto vale come Dio, perché si guadagna con esso Dio[2] Se il testo di Nieremberg si muove ancora nella distinzione tempus/aeternitas, lontana dalla concezione del time is money di Benjamin Franklin, nondimeno potrebbe osservarsi una descrizione preadattativa del tempo nel quale è necessario “guadagnarsi” la vita eterna.
Lo schema di osservazione tempus/aeternitas, che oggi potremmo coniugare come immanenza/trascendenza, dalla prima modernità conoscerà nuove semantizzazioni grazie alle quali diventa sempre più improbabile ricondurre l’orizzonte dell’esperienza verso l’eternità. Alla idea di un presente, che si collocava come un ponte tra il passato e il futuro si sostituisce la idea di crepa che separa lo spazio della esperienza dall'orizzonte delle aspettative. Si dovrà fare i conti con l’incostanza, con la difficoltà di previsione del futuro, insomma con quello che è il nostro pane quotidiano: il rischio.
Numerosi esempi possono trovarsi tra le lettere di Roberto Bellarmino riguardo questa osservazione moderna del tempo. C'è uno slittamento nell'ordine dei doveri; quelli che erano prettamente religiosi cominciano ad essere esigenze di una agenda: Non ho tempo di esser più lungo, per la moltitudine di visite, et lettere. A sua sorella Camilla, la quale gli rimprovera che a poche settimana di avergli mandati i suoi saluti non ha ricevuto ancora risposta, il cardinale confessa che: In questo principio sono tanto occupato che non ho tempo di respirare. Per il cardinale Francesco Maria Tarugi, congratulandosi col Bellarmino per il suo titolo cardinalizio, l'esigenza di quell'agenda non sono altra cosa che una perdita di tempo: I concistorii, le messe, le congregationi, le visite et revisite, li faranno far' multa jattura di pretioso tempo. Ancora per Tarugi, la serie di impegni che determinano il ritmo della giornata e ubbidivano a una logica di tipo politico e sociale, erano considerati una perdita di tempo alla stregua della considerazione riguardo i giochi d'azzardo[3]: E da questi giochi ne nascono bestemmie orrende, rubamenti continui, rovine delle case, oltre la perdita di tempo. Precisamente, questo apprezzamento del tempo come bene scarso implicherà, in parte grazie alla tecnica, uno sforzo per misurarlo, organizzarlo e così anche "accorciare" la distanza con il futuro che lo si potrà "vedere" perfino nelle pagine vuote dell'agenda. Il perdere tempo è, in certo modo, conseguenza dell'orologio che lo misura. La tecnologia dispiega un paradosso similare: quanto piè tempo guadagnamo grazie ad essa la percezione del tempo ci appare piè scarso.
Fonti
- L. Mercier; L'An deux mille quatre cent quarante . Rêve s'il en fût jamais. Paris, 1771.
- L. Mercier; L'anno due mila quattrocento quaranta. Sogno di cui non vi fu l'eguale. Genova, 1798.
Bibliografia
- Luhmann, N., Il tempo scarso e il carattere vincolante della scadenza in Tabboni, Simonetta (cur), Tempo e società. FrancoAngeli, 1990.
- Maceratini, A., Spazio e tempo nella teoria dei sistemi di Niklas Luhmann, in Canavesi, G. (cur), "Tempo e spazio nella dimensione giuridica, economica e sociale". Napoli, 2020.
Florilegium
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- ↑ Una versione spagnola di questo detto:”Quien tempo tiene, y tiempo atiende, tiempo viene que se arrepiente.” Proverbiorum trilinguium Collectanea. Latina s. Itala, et Hispana, in luculentam redacta concordantiam latina, itala et Hispana. Neapoli, 1636; p. 49
- ↑ La differenza fra il temporale, e l’eterno opera del padre Gio. Eusebio Nieremberg della Compagnia di Giesu. Venezia, 1654; p. 78.
- ↑ Cfr. Notepad