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− | + | [[File:Technica curiosa frontispiece.jpg|thumb|<small>Kaspar Schott, ''Technica curiosa'' [...], Nuremberg, sumptibus Johannis Andreae Endteri, & Wolfgangi Junioris haeredum. Excudebat Jobus Hertz typographus Herbiopol. Prostant Norimbergae apud dictos Endteros, 1664.</small>]]Nella prima modernità (1550-1750) si diffonde in Europa un interesse senza precedenti per la curiosità.<ref>Sull’enorme numero di pubblicazioni dedicate a questo tema in area anglosassone si veda Harrison (2001, 265ff.). Sull’altrettanto esteso numero di pubblicazioni disponibili in lingua tedesca nello stesso periodo si veda Kivistö (2014, 202ff.).</ref> Nel solco della tradizione agostiniana la curiosità viene condannata come un insano desiderio di conoscere i misteri della natura (''cupiditas oculorum'') e come una forma di superbia dell’intelligenza umana che non si limita a un’ammirazione deferente della Creazione (''concupiscentia animae'').<ref>La fonte è sempre Agostino, ''Confessiones'', X, xxxv. Cfr. Blumenberg (1988, 358ff.; trad. it. 1992, 331ff.).</ref> Allo stesso tempo, tuttavia, la curiosità viene ''riabilitata'' attraverso un suo riposizionamento nel catalogo dei vizi e delle virtù: anziché essere condannata come una forma di lussuria intellettuale la curiosità viene giustificata come una virtù che assomiglia piuttosto all’avidità e alla cupidigia (Daston 1995, 392ff.). Come si spiega questa curiosità per la curiosità?<br> | |
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− | == | + | La prima modernità è caratterizzata da una crescente autonomia del processo di produzione di conoscenza scientifica rispetto ad altre funzioni sociali (Luhmann [1981]2008, 143ff.; 1990, 271ff.). La possibilità di ottenere nuovo sapere (o un sapere migliore rispetto a quello messo a disposizione dal passato) ''reagisce a se stessa'', con la conseguenza che la differenza fra ciò che è già noto e ciò che è ancora ignoto struttura in modo ricorsivo la riproduzione di conoscenza scientifica. L’uomo di lettere che cerca quello che altri non hanno trovato finisce per trovare quello che altri non hanno cercato (Bartoli [1645]1845, 87). Sapere e non sapere aumentano così contemporaneamente: una nuova scoperta aumenta l’ignoranza su ciò che è stato scoperto e incoraggia a proseguire la ricerca. Questa ricorsività fa saltare l’idea che la verità sia lo scopo della scienza: nella produzione di conoscenza scientifica ogni risultato, ogni punto di arrivo, è soltanto il presupposto, il punto di partenza, per ulteriore ricerca scientifica. Agli scienziati (Bartoli [1645]1845, 202) servono «di principii quelle [conoscenze] che ad altrui furono conseguenze», così ciascuno comincia a cercare dove gli altri, cercando, cessarono di indagare.<br> |
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+ | Tra gli effetti di questa chiusura ricorsiva della riproduzione di sapere c’è una rivalutazione di ciò che è nuovo. La massa crescente di libri che si accumulano nelle biblioteche non deve scoraggiare il ricercatore con l’impressione che «il n’y a plus rien à faire dans le sciences». Piuttosto, chi pubblica dovrebbe farlo allo scopo di «''exciter'' ceux qui viennet après eux à ''joindre'' de ''nouvelles connoissances'' aux leurs», sia in vista dell’aumento, sia in vista del miglioramento del sapere (La Mothe Le Vayer 1668, 114 enfasi aggiunta). Quelle dunque che altri deplorano come «vaines curiosités de savoir» che hanno l’effetto di «''irriter'' la cupidité» del lettore erudito (Bossuet [1731]1836, 472a enfasi aggiunta), sono per molti piuttosto uno stimolo a indagare l’ignoto, preferendo senza esitazione il sapere nuovo a quello vecchio.<br> | ||
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+ | La curiosità moderna (''Neugier'') non è altro che l’avidità (''Gier'') per ciò che è nuovo (''neu''). Essa copre semanticamente la messa in opera del ''ruolo produttivo dell’ignoranza''. Chi fa ricerca in vista di qualche pubblicazione deve trattare meglio e più estesamente ciò che altri autori hanno trattato poco o per nulla, e non limitarsi a ripetere quello che si può trovare anche altrove, cioè nei libri degli altri. Il lettore non vuole sapere ciò che è già noto; un libro ''bello'' è quello che ha qualcosa di ''nuovo'' da dire (Muratori 1723, Parte II, 262 e 334). La curiosità è quindi anche il correlato di una particolare struttura di aspettative che non sarebbe plausibile senza il contributo dell’industria tipografica: non si tratta soltanto di fare della curiosità una forma di aspettativa che preferisce nei libri ciò che è interessante e sorprendente alla semplice ripetizione, si tratta anche di anticipare la presenza di questa aspettativa da parte del lettore e offrire, in qualità di autori, libri che abbiano qualcosa di nuovo da dire.<ref>Nella prefazione al proprio dizionario storico Moreri (1683, s.n. sed ê4r) afferma che nel compilare l’opera ha cercato «de n’y rien oublier de tout ce qui pouvoit satisfaire la curiosité des Lecteurs». Il fatto che si tenga conto delle aspettative dei lettori spiega anche l’insolita diffusione degli aggettivi novus e inauditus nei titoli dei libri scientifici del 17. secolo che spesso di nuovo nei propri contenuti avevano ben poco. Cfr. Thorndike 1957.</ref> L’aspettativa di curiosità si combina quindi con un orientamento basato sulla curiosità. Per chi produce sapere questo vuol dire che le ''irritazioni'' non vengono più percepite come una devianza da correggere sul piano dei contenuti ma come una ricerca incessante di novità a partire dal continuo rinnovamento della distinzione fra vecchio e nuovo (Luhmann 1995, 59ff.; 1990, 216ff.). Senza irritazioni del resto non si producono possibilità di collegamento e senza possibilità di collegamento l’indagine scientifica non può continuare. La scienza moderna è in questo senso una forma di irrequietezza che si auto-perpetua (Luhmann 1990, 371) e la curiosità è l’idea associata dalla prima modernità a questa irrequietezza.<br> | ||
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+ | La curiosità non ha un oggetto proprio. Se la curiosità moderna è «whatever ''desire'' we have ''for'', or whatever ''pleasure'' we take ''in novelty''» (Burke 1761, 41 enfasi aggiunta), allora la curiosità è destinata a restare un desiderio inappagato poiché il nuovo non dura. La curiosità, come ammette Burke (1761, 42) «changes its object perpetually», il che può essere inteso sia nel senso che la curiosità trasforma l’oggetto dell’indagine da qualcosa di ignoto a qualcosa di noto, sia nel senso che la curiosità deve continuamente sostituire il proprio oggetto con un oggetto nuovo se vuole conservare se stessa. Proprio per questo la curiosità scientifica ha un aspetto di «giddiness, restlessness and anxiety». Come nell’avidità o nella cupidigia, il suo orientamento temporale è rivolto a un futuro illimitatamente aperto.<br> | ||
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+ | La curiosità viene ridefinita poi in modo riflessivo: il piacere della ''ricerca'' mossa dalla curiosità non consiste nel ''trovare'' ma nel ''cercare'' qualche verità nuova. Il possesso della verità procura quiete, riposo, cioè assenza di irritazione, la ricerca invece stimola, muove, preservando una piacevole inquietudine (Mersenne 1634, q. 23, 112ff.). Chi è motivato dalla curiosità desidera sempre «passer outre, de sorte que les veritez acquises ne servent que de degrez pour arriver à d’autres» (Mersenne 1634, q. 23, 114). La curiosità è dunque il correlato di un sistema scientifico che resta illimitatamente aperto proprio perché è operativamente chiuso e riproduce ricorsivamente le proprie operazioni. La riflessività di questa autoriproduzione trova un correlato semantico nella curiosità nella misura in cui si ammette che «the pleasure of study consists chiefly in the ''action'' of the ''mind''» (Hume [1740]1874, Book II, Part III, Sect. 10, 225 enfasi aggiunta).<ref>Si noti che questo vuol dire anche che per continuare a provare piacere la mente deve tenersi sempre in azione.</ref> <br> | ||
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+ | La riabilitazione della curiosità va di pari passi con la sua ''de-moralizzazione''. Non si tratta solo del fatto che nella curiosità scientifica non si trovi più alcunché di immorale, si tratta anche e soprattutto del fatto la stessa ricerca scientifica non può più essere controllata moralmente. Al controllo sociale operato dall’esterno attraverso la morale, nella scienza moderna si sostituisce l’autocontrollo: solo la ricerca prodotta scientificamente può correggere, sostituire, confermare o confutare i risultati della ricerca scientifica (Luhmann 1990, 336). Per lo scienziato moderno l’unica affermazione davvero immorale sarebbe che non ci siano più margini per un aumento della conoscenza scientifica. Nemmeno l’autorità dei filosofi e degli scienziati passati dovrebbe essere un buon motivo per inibire il ricercatore: l’ammirazione per il loro genio non deve impedire, come dice Muratori (1723, Parte I, 172 enfasi aggiunta), «la ''libertà di meglio ricercare il vero'', e di abbandonarli, ove si parano davanti ragioni, sentenze, e ''sistemi più verosimili'', o meglio fondati». Tra la fine del 17. e l’inizio del 18. secolo la curiosità perde dunque le precedenti connotazioni di immoralità e “curioso” viene definito semplicemente «celuy qui veut tout sçavoir & tout apprendre» (Furetière 1690, I, 737). Le scienze sono tutte curiose per definizione, ma tra loro sono definite “scienze curiose” «celles qui sont connuës de peu de personnes, qui ont des secrets particuliers», come la chimica o l’ottica. La curiosità diventa così pure un correlato della ricerca di ciò che è strano, meraviglioso, sorprendente, a volte anche solo per stupire il proprio spettatore, come nel caso della “tecnica curiosa” (Schott 1664) o delle “camere delle meraviglie”. | ||
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+ | == Florilegium == | ||
* ''La curiosité n’est pas un goût pour ce qui est bon o ce qui est beau, mais pour ce qui est rare, unique, pour ce qu’on a et ce que les autres n’ont point. Ce n’est pas un attachement à ce qui est parfait, mais à ce qui est couru, à ce qui est à la mode. Ce n’est pas un amusement, mais une passion, et souvent si violente, qu’elle ne cède à l’amour et à l’ambition que par la petitesse de son objet. Ce n’est pas une passion qu’on a généralement pour les choses rares et qui ont cours, mais qu’on a seulement pour une certaine chose, qui est rare, et pourtant à la mode''.<ref>Jean de La Bruyère; ''La Mode'' in ''Les Caractères ou les Mœurs de ce siècle'' (1688). | * ''La curiosité n’est pas un goût pour ce qui est bon o ce qui est beau, mais pour ce qui est rare, unique, pour ce qu’on a et ce que les autres n’ont point. Ce n’est pas un attachement à ce qui est parfait, mais à ce qui est couru, à ce qui est à la mode. Ce n’est pas un amusement, mais une passion, et souvent si violente, qu’elle ne cède à l’amour et à l’ambition que par la petitesse de son objet. Ce n’est pas une passion qu’on a généralement pour les choses rares et qui ont cours, mais qu’on a seulement pour une certaine chose, qui est rare, et pourtant à la mode''.<ref>Jean de La Bruyère; ''La Mode'' in ''Les Caractères ou les Mœurs de ce siècle'' (1688). | ||
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− | + | * «[Les curieux] s’adonnent ou à l’histoire, ou à la philosophie, ou à toute sorte de lectures, surtout des livres nouveaux, des romans, des comédies, de poésies, et se laissent tellement posséder au désir de savoir, qu’ils ne se possèdent plus eux-mêmes» (Bousset [1731]1836, 472b). | |
+ | * «''Curieux'' se dit en bonne part de celui qui a désir d’apprendre, de voir les bonnes choses, les merveilles de l’art de la nature. Curieux se dit aussi de celui qui a ramassé les choses les plus rares, les plus belles & les plus extraordinaires qu’il a pû trouver, tant dans les arts que dans la nature» (Furetière 1690, I, 737). | ||
+ | * «La curiosité est naturelle à l’homme [...]. Rome, Londres, Paris passent leur temps à demander ce qu’il y a de nouveau» (Voltaire [1769]1838, 339). | ||
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+ | Bartoli, Daniello S.J. 1845. ''L’uomo di lettere'' [ediz. orig. 1645]. Venezia: Girolamo Tasso.<br> | ||
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+ | Blumenberg, Hans. 1988. ''Die Legitimität der Neuzeit''. Frankfurt a. M.: Suhrkamp (trad. it. ''La legittimità dell’età moderna''. Genova: Marietti, 1992).<br> | ||
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+ | Bossuet, Jacques Bénigne. 1836. ''Traité de la concupiscence'' [ediz. orig. 1731]. In ''Œuvres complètes de Bossuet'', t. 3. Besançon: Outhenin-Chalandre Fils, pp. 465-496.<br> | ||
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+ | Burke, Edmund. 1761. ''A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful''. London: Printed for R. and J. Dodsley.<br> | ||
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+ | Daston, Lorraine. 1995. ''Curiosity in Early Modern Science''. "Word and Image", 11 (4), pp. 391-404.<br> | ||
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+ | Furetière, Antoine. 1690. ''Dictionnaire universel''. T. 3. A la Haye et à Rotterdam : Chez Arnout & Reinier Leers.<br> | ||
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+ | Harrison, Peter. 2001. ''Curiosity, Forbidden Knowledge, and the Reformation of Natural Philosophy in Early Modern England''. "Isis", 92(2), pp. 265-290.<br> | ||
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+ | Hume, David. 1874. ''A Treatise on Human Nature'' [ediz. orig. 1740]. London: Longmans, Greens and Co.<br> | ||
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+ | Kivistö, Sari. 2014. ''The Vices of Learning. Morality and Knowledge at Early Modern Universities''. Leiden and Boston: Brill.<br> | ||
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+ | La Mothe Le Vayer, François de. 1668. ''Observations diverses sur la composition et sur la lecture des livres''. Paris: Chez Louis Billaine.<br> | ||
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+ | Luhmann, Niklas. 1990. ''Die Wissenschaft der Gesellschaft''. Frankfurt a. M.: Suhrkamp.<br> | ||
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+ | Luhmann, Niklas. 1995. ''Die Behandlung von Irritationen: Abweichung oder Neuheit?''. In ''Gesellschaftsstruktur und Semantik''. Vol. 4. Frankfurt am Main: Suhrkamp, pp. 55-100.<br> | ||
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+ | Luhmann, Niklas. 2008. ''Die Ausdifferenzierung von Erkenntnisgewinn: Zur Genese von Wissenschaft'' [ediz. orig. 1981]. In ''Ideenevolution. Beiträge zur Wissenssoziologie''. Frankfurt a. M.: Suhrkamp, pp. 132-185.<br> | ||
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+ | Mersenne, Marin. 1634. ''Les questions théologiques, physiques, morales, et mathématiques''. A Paris: Chez Henry Guenon.<br> | ||
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+ | Moreri, Louis. 1683. ''Le grand dictionnaire historique ou le mélange curieux de l’histoire sacrée et profane''. A Lyon: Chez Jean Girin & Barthelemy Riviere. <br> | ||
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+ | Muratori, Lodovico Antonio. 1723. ''Delle riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti''. Venezia: Presso Nicolò Pezzana. | ||
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+ | Schott, Kaspar S.J. 1664. ''Technica curiosa, sive mirabilia artis libri XII comprehensa''. Herbipoli: Sumptibus Johannis Andreae Endteri & Wolfgangi Junioris Haeredum.<br> | ||
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+ | Thorndike, Lynn. 1957. ''Newness and Novelty in Seventeenth-Century Science and Medicine''. In ''Roots of Scientific Thought. A Cultural Perspective''. Ed. by Philip P. Wiener and Aaron Noland. New York: Basic Books, pp. 443-457.<br> | ||
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+ | Voltaire. 1838. ''Dictionnaire philosophique'' [ediz. orig. 1769]. Paris: Imprimerie de Cosse et Gaultier-Laguionie. | ||
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Latest revision as of 07:01, 23 April 2022
Nella prima modernità (1550-1750) si diffonde in Europa un interesse senza precedenti per la curiosità.[1] Nel solco della tradizione agostiniana la curiosità viene condannata come un insano desiderio di conoscere i misteri della natura (cupiditas oculorum) e come una forma di superbia dell’intelligenza umana che non si limita a un’ammirazione deferente della Creazione (concupiscentia animae).[2] Allo stesso tempo, tuttavia, la curiosità viene riabilitata attraverso un suo riposizionamento nel catalogo dei vizi e delle virtù: anziché essere condannata come una forma di lussuria intellettuale la curiosità viene giustificata come una virtù che assomiglia piuttosto all’avidità e alla cupidigia (Daston 1995, 392ff.). Come si spiega questa curiosità per la curiosità?
La prima modernità è caratterizzata da una crescente autonomia del processo di produzione di conoscenza scientifica rispetto ad altre funzioni sociali (Luhmann [1981]2008, 143ff.; 1990, 271ff.). La possibilità di ottenere nuovo sapere (o un sapere migliore rispetto a quello messo a disposizione dal passato) reagisce a se stessa, con la conseguenza che la differenza fra ciò che è già noto e ciò che è ancora ignoto struttura in modo ricorsivo la riproduzione di conoscenza scientifica. L’uomo di lettere che cerca quello che altri non hanno trovato finisce per trovare quello che altri non hanno cercato (Bartoli [1645]1845, 87). Sapere e non sapere aumentano così contemporaneamente: una nuova scoperta aumenta l’ignoranza su ciò che è stato scoperto e incoraggia a proseguire la ricerca. Questa ricorsività fa saltare l’idea che la verità sia lo scopo della scienza: nella produzione di conoscenza scientifica ogni risultato, ogni punto di arrivo, è soltanto il presupposto, il punto di partenza, per ulteriore ricerca scientifica. Agli scienziati (Bartoli [1645]1845, 202) servono «di principii quelle [conoscenze] che ad altrui furono conseguenze», così ciascuno comincia a cercare dove gli altri, cercando, cessarono di indagare.
Tra gli effetti di questa chiusura ricorsiva della riproduzione di sapere c’è una rivalutazione di ciò che è nuovo. La massa crescente di libri che si accumulano nelle biblioteche non deve scoraggiare il ricercatore con l’impressione che «il n’y a plus rien à faire dans le sciences». Piuttosto, chi pubblica dovrebbe farlo allo scopo di «exciter ceux qui viennet après eux à joindre de nouvelles connoissances aux leurs», sia in vista dell’aumento, sia in vista del miglioramento del sapere (La Mothe Le Vayer 1668, 114 enfasi aggiunta). Quelle dunque che altri deplorano come «vaines curiosités de savoir» che hanno l’effetto di «irriter la cupidité» del lettore erudito (Bossuet [1731]1836, 472a enfasi aggiunta), sono per molti piuttosto uno stimolo a indagare l’ignoto, preferendo senza esitazione il sapere nuovo a quello vecchio.
La curiosità moderna (Neugier) non è altro che l’avidità (Gier) per ciò che è nuovo (neu). Essa copre semanticamente la messa in opera del ruolo produttivo dell’ignoranza. Chi fa ricerca in vista di qualche pubblicazione deve trattare meglio e più estesamente ciò che altri autori hanno trattato poco o per nulla, e non limitarsi a ripetere quello che si può trovare anche altrove, cioè nei libri degli altri. Il lettore non vuole sapere ciò che è già noto; un libro bello è quello che ha qualcosa di nuovo da dire (Muratori 1723, Parte II, 262 e 334). La curiosità è quindi anche il correlato di una particolare struttura di aspettative che non sarebbe plausibile senza il contributo dell’industria tipografica: non si tratta soltanto di fare della curiosità una forma di aspettativa che preferisce nei libri ciò che è interessante e sorprendente alla semplice ripetizione, si tratta anche di anticipare la presenza di questa aspettativa da parte del lettore e offrire, in qualità di autori, libri che abbiano qualcosa di nuovo da dire.[3] L’aspettativa di curiosità si combina quindi con un orientamento basato sulla curiosità. Per chi produce sapere questo vuol dire che le irritazioni non vengono più percepite come una devianza da correggere sul piano dei contenuti ma come una ricerca incessante di novità a partire dal continuo rinnovamento della distinzione fra vecchio e nuovo (Luhmann 1995, 59ff.; 1990, 216ff.). Senza irritazioni del resto non si producono possibilità di collegamento e senza possibilità di collegamento l’indagine scientifica non può continuare. La scienza moderna è in questo senso una forma di irrequietezza che si auto-perpetua (Luhmann 1990, 371) e la curiosità è l’idea associata dalla prima modernità a questa irrequietezza.
La curiosità non ha un oggetto proprio. Se la curiosità moderna è «whatever desire we have for, or whatever pleasure we take in novelty» (Burke 1761, 41 enfasi aggiunta), allora la curiosità è destinata a restare un desiderio inappagato poiché il nuovo non dura. La curiosità, come ammette Burke (1761, 42) «changes its object perpetually», il che può essere inteso sia nel senso che la curiosità trasforma l’oggetto dell’indagine da qualcosa di ignoto a qualcosa di noto, sia nel senso che la curiosità deve continuamente sostituire il proprio oggetto con un oggetto nuovo se vuole conservare se stessa. Proprio per questo la curiosità scientifica ha un aspetto di «giddiness, restlessness and anxiety». Come nell’avidità o nella cupidigia, il suo orientamento temporale è rivolto a un futuro illimitatamente aperto.
La curiosità viene ridefinita poi in modo riflessivo: il piacere della ricerca mossa dalla curiosità non consiste nel trovare ma nel cercare qualche verità nuova. Il possesso della verità procura quiete, riposo, cioè assenza di irritazione, la ricerca invece stimola, muove, preservando una piacevole inquietudine (Mersenne 1634, q. 23, 112ff.). Chi è motivato dalla curiosità desidera sempre «passer outre, de sorte que les veritez acquises ne servent que de degrez pour arriver à d’autres» (Mersenne 1634, q. 23, 114). La curiosità è dunque il correlato di un sistema scientifico che resta illimitatamente aperto proprio perché è operativamente chiuso e riproduce ricorsivamente le proprie operazioni. La riflessività di questa autoriproduzione trova un correlato semantico nella curiosità nella misura in cui si ammette che «the pleasure of study consists chiefly in the action of the mind» (Hume [1740]1874, Book II, Part III, Sect. 10, 225 enfasi aggiunta).[4]
La riabilitazione della curiosità va di pari passi con la sua de-moralizzazione. Non si tratta solo del fatto che nella curiosità scientifica non si trovi più alcunché di immorale, si tratta anche e soprattutto del fatto la stessa ricerca scientifica non può più essere controllata moralmente. Al controllo sociale operato dall’esterno attraverso la morale, nella scienza moderna si sostituisce l’autocontrollo: solo la ricerca prodotta scientificamente può correggere, sostituire, confermare o confutare i risultati della ricerca scientifica (Luhmann 1990, 336). Per lo scienziato moderno l’unica affermazione davvero immorale sarebbe che non ci siano più margini per un aumento della conoscenza scientifica. Nemmeno l’autorità dei filosofi e degli scienziati passati dovrebbe essere un buon motivo per inibire il ricercatore: l’ammirazione per il loro genio non deve impedire, come dice Muratori (1723, Parte I, 172 enfasi aggiunta), «la libertà di meglio ricercare il vero, e di abbandonarli, ove si parano davanti ragioni, sentenze, e sistemi più verosimili, o meglio fondati». Tra la fine del 17. e l’inizio del 18. secolo la curiosità perde dunque le precedenti connotazioni di immoralità e “curioso” viene definito semplicemente «celuy qui veut tout sçavoir & tout apprendre» (Furetière 1690, I, 737). Le scienze sono tutte curiose per definizione, ma tra loro sono definite “scienze curiose” «celles qui sont connuës de peu de personnes, qui ont des secrets particuliers», come la chimica o l’ottica. La curiosità diventa così pure un correlato della ricerca di ciò che è strano, meraviglioso, sorprendente, a volte anche solo per stupire il proprio spettatore, come nel caso della “tecnica curiosa” (Schott 1664) o delle “camere delle meraviglie”.
Florilegium
- La curiosité n’est pas un goût pour ce qui est bon o ce qui est beau, mais pour ce qui est rare, unique, pour ce qu’on a et ce que les autres n’ont point. Ce n’est pas un attachement à ce qui est parfait, mais à ce qui est couru, à ce qui est à la mode. Ce n’est pas un amusement, mais une passion, et souvent si violente, qu’elle ne cède à l’amour et à l’ambition que par la petitesse de son objet. Ce n’est pas une passion qu’on a généralement pour les choses rares et qui ont cours, mais qu’on a seulement pour une certaine chose, qui est rare, et pourtant à la mode.[5]
- «[Les curieux] s’adonnent ou à l’histoire, ou à la philosophie, ou à toute sorte de lectures, surtout des livres nouveaux, des romans, des comédies, de poésies, et se laissent tellement posséder au désir de savoir, qu’ils ne se possèdent plus eux-mêmes» (Bousset [1731]1836, 472b).
- «Curieux se dit en bonne part de celui qui a désir d’apprendre, de voir les bonnes choses, les merveilles de l’art de la nature. Curieux se dit aussi de celui qui a ramassé les choses les plus rares, les plus belles & les plus extraordinaires qu’il a pû trouver, tant dans les arts que dans la nature» (Furetière 1690, I, 737).
- «La curiosité est naturelle à l’homme [...]. Rome, Londres, Paris passent leur temps à demander ce qu’il y a de nouveau» (Voltaire [1769]1838, 339).
References
- ↑ Sull’enorme numero di pubblicazioni dedicate a questo tema in area anglosassone si veda Harrison (2001, 265ff.). Sull’altrettanto esteso numero di pubblicazioni disponibili in lingua tedesca nello stesso periodo si veda Kivistö (2014, 202ff.).
- ↑ La fonte è sempre Agostino, Confessiones, X, xxxv. Cfr. Blumenberg (1988, 358ff.; trad. it. 1992, 331ff.).
- ↑ Nella prefazione al proprio dizionario storico Moreri (1683, s.n. sed ê4r) afferma che nel compilare l’opera ha cercato «de n’y rien oublier de tout ce qui pouvoit satisfaire la curiosité des Lecteurs». Il fatto che si tenga conto delle aspettative dei lettori spiega anche l’insolita diffusione degli aggettivi novus e inauditus nei titoli dei libri scientifici del 17. secolo che spesso di nuovo nei propri contenuti avevano ben poco. Cfr. Thorndike 1957.
- ↑ Si noti che questo vuol dire anche che per continuare a provare piacere la mente deve tenersi sempre in azione.
- ↑ Jean de La Bruyère; La Mode in Les Caractères ou les Mœurs de ce siècle (1688).
Bibliography
Bartoli, Daniello S.J. 1845. L’uomo di lettere [ediz. orig. 1645]. Venezia: Girolamo Tasso.
Blumenberg, Hans. 1988. Die Legitimität der Neuzeit. Frankfurt a. M.: Suhrkamp (trad. it. La legittimità dell’età moderna. Genova: Marietti, 1992).
Bossuet, Jacques Bénigne. 1836. Traité de la concupiscence [ediz. orig. 1731]. In Œuvres complètes de Bossuet, t. 3. Besançon: Outhenin-Chalandre Fils, pp. 465-496.
Burke, Edmund. 1761. A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful. London: Printed for R. and J. Dodsley.
Daston, Lorraine. 1995. Curiosity in Early Modern Science. "Word and Image", 11 (4), pp. 391-404.
Furetière, Antoine. 1690. Dictionnaire universel. T. 3. A la Haye et à Rotterdam : Chez Arnout & Reinier Leers.
Harrison, Peter. 2001. Curiosity, Forbidden Knowledge, and the Reformation of Natural Philosophy in Early Modern England. "Isis", 92(2), pp. 265-290.
Hume, David. 1874. A Treatise on Human Nature [ediz. orig. 1740]. London: Longmans, Greens and Co.
Kivistö, Sari. 2014. The Vices of Learning. Morality and Knowledge at Early Modern Universities. Leiden and Boston: Brill.
La Mothe Le Vayer, François de. 1668. Observations diverses sur la composition et sur la lecture des livres. Paris: Chez Louis Billaine.
Luhmann, Niklas. 1990. Die Wissenschaft der Gesellschaft. Frankfurt a. M.: Suhrkamp.
Luhmann, Niklas. 1995. Die Behandlung von Irritationen: Abweichung oder Neuheit?. In Gesellschaftsstruktur und Semantik. Vol. 4. Frankfurt am Main: Suhrkamp, pp. 55-100.
Luhmann, Niklas. 2008. Die Ausdifferenzierung von Erkenntnisgewinn: Zur Genese von Wissenschaft [ediz. orig. 1981]. In Ideenevolution. Beiträge zur Wissenssoziologie. Frankfurt a. M.: Suhrkamp, pp. 132-185.
Mersenne, Marin. 1634. Les questions théologiques, physiques, morales, et mathématiques. A Paris: Chez Henry Guenon.
Moreri, Louis. 1683. Le grand dictionnaire historique ou le mélange curieux de l’histoire sacrée et profane. A Lyon: Chez Jean Girin & Barthelemy Riviere.
Muratori, Lodovico Antonio. 1723. Delle riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti. Venezia: Presso Nicolò Pezzana.
Schott, Kaspar S.J. 1664. Technica curiosa, sive mirabilia artis libri XII comprehensa. Herbipoli: Sumptibus Johannis Andreae Endteri & Wolfgangi Junioris Haeredum.
Thorndike, Lynn. 1957. Newness and Novelty in Seventeenth-Century Science and Medicine. In Roots of Scientific Thought. A Cultural Perspective. Ed. by Philip P. Wiener and Aaron Noland. New York: Basic Books, pp. 443-457.
Voltaire. 1838. Dictionnaire philosophique [ediz. orig. 1769]. Paris: Imprimerie de Cosse et Gaultier-Laguionie.
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