De Mobili perpetuo apparente.
Motus entium Physicorum effectum et passio est, et ab Aristotele definitur actus entis in potentia prout in potentia, ab universa Philosophorum schola recepta. Dividitur in instantaneum, et successivum; violentum et naturalem: his praepositis de possibilitate dabilis motus perpetui inquiritur, in quo tot jam saeculis plurima Philosophorum, Mathematicorumque ingenia desudarunt, et dum operam oleumque perdidere vana spe delusi, se naturae principia non intelligere, etiam inviti fateri coacti sunt.
Dico itaque nullum in rerum natura mobile, purum, artificiale reperiri, quod naturâ suâ perpetuò durare possit. Et primò quidem, omne esse physicum natulariter ad sui perfectionem tendit, ut, velut in suo fine seu centro, quiescat, ergo potentia motiva non nisi in ordine ad quietem, et per consequens à termino qui directè perpetuitati contrariatur, declinat. Secundò, motus est vel naturalis, vel violentus: si primum, non erit Mechanicus; sin secundum, ab extrinseco orietur, ergò erit actio contrariorum. Haec actio si mobili aequalis est, quies orietur; vel si major, aut instantaneè, aut successivè agit: si instantaneè, qua ratione perpetuò durabit? si successivè, quaenam est haec perpetuò motiva virtus? Tertiò, motus naturalis differt à violento, eo quod à principiis contrariis oriantur, quis ergò hanc principiorum contrarietatem pacifica quiete uniet, ut motus perennitatem acquirat? Quartò, omnes scholae conveniunt nihil agere in se ipsum, qualiter ergò movens perpetuò agitabitur, si non à principio intrinseco moveatur, et qualiter motum urgere poterit, et non in se ipsum agere. Acquiescamus itaque et concedamus, naturam ab arte excoli posse, non superari: concedamus ergò soli naturae rationem perpetuò mobilem, si tamen salvo et tuto sacrae scripturae sensu perpetuas credere possumus res naturales. Motus perpetui differentia experimenta in suo Musaeo exhibebit Kircherus, quibus motum perpetuum non tam asseverat, sed reprobat. Nec credat quispiam ullum duraturum semper motum in puris Mechanicis principiis dari posse, si non ad aliquod movens naturale confugiat. Unde dico nullum naturae ope mechanicum motum abstrahendo à consumptibili materiae conditione perpetuari posse.
Il moto perpetuo apparente
Il movimento è un effetto e una perturbazione degli elementi fisici, e da Aristotele è definito atto dell’ente in potenza in quanto potenza; tale definizione è accolta da tutta la scuola dei filosofi. Si distingue in istantaneo e progressivo, violento e naturale. Premesso ciò, si indaga sull’ipotetica possibilità di un moto perpetuo, ed in questo da molti secoli ormai moltissimi ingegni di filosofi e di matematici si sono affaticati, ma delusi dalla vana speranza, hanno perduto tempo ed opera, e, anche se malvolentieri, hanno dovuto ammettere di non intendere i principi naturali.
Affermo perciò che in natura nulla esiste di mobile, puro, derivato per arte, che per sua natura possa durare in eterno. In primo luogo ogni entità fisica tende naturalmente alla sua perfezione per appagarsene ed acquietarsi, come nel suo fine o centro, e perciò ogni potenza in movimento non può che inclinare nell’ordine alla quiete e, per conseguenza, s’allontana dal termine che direttamente si oppone all’eternità.
Secondo: il movimento è naturale o violento: se è il primo, non può essere meccanico, se è il secondo, trarrà origine dall’esterno e quindi sarà azione di contrari. Se quest’azione è corrispondente al movimento, ne deriverà quiete, se è maggiore, o agisce istantaneamente o progressivamente: ma se istantaneamente, come potrebbe durare per sempre? Se progressivamente, quale mai questa qualità di movimento capace di durare in eterno? Terzo: il movimento naturale differisce da quello violento per il fatto che essi traggono origine da principi contrari; chi perciò potrà unificare in pacifica quiete questa contrastante natura di principi, così che il movimento acquisti eternità di durata? Quarto, tutte le scuole filosofiche convengono sul fatto che nulla agisce in sé stesso, dunque o muovendo sarà per sempre sospinto, se non è indotto da un principio intrinseco, o mosso potrà sollecitare movimento senza agire su se stesso. Riposiamoci dunque e ammettiamo che la natura può essere perfezionata dall’arte, ma non certo superata: concediamo dunque alla sola natura un eterno movimento, se però, salvando e rispettando il senso della sacra scrittura, possiamo credere eterne le realtà naturali. Kircher presenterà nel suo Museo diversi esperimenti di moto perpetuo, con i quali però non intende certo dimostrarlo, ma confutarlo. Nessuno creda che si possa dare nei puri principi della meccanica qualcosa che duri in perpetuo movimento, se non ricorre a causa naturale di movimento. Affermo perciò che nessun movimento meccanico in virtù di un effetto naturale può essere protratto per sempre, astraendo in ogni modo dalla condizione effimera della materia.