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Maestri disinteressati che debbono rendere i più grandi servigj, e non domandarne alcuno; distribuire i loro lumi, e non mai venderli; ispirare a tutti i loro allievi la più viva riconoscenza e non profittarne della parte di alcuno fra loro, rendersi degni di tutti, e nullo giammai acattare. Maestri imparziali che non distinguano se non il merito, e il bisogno; che non preferiscano fuorché il talento e la saviezza; che non coronano se non il successo, e lo sforzo.

Maestri istruiti, che destinati a insegnare le lingue debbono farne uno studio particolare, che debbono possedere la lingua, sì varia, sì dolce e sì armoniosa de’ Greci; possedere ciò che stavvi di più curioso in Erodoto, di più sensato in Plutarco, di più sublime in Platone, di più istruttivo in Teofrasto, di più aggradevole in Luciano, di più sano in Epitteto, di più veemente in Demostene, di più patetico in Eschine, di più elegante in Isocrate, di più ravissant in Omero, di più lirico in Pindaro, di più fiero in Eschilo, di più nobile in Sofocle, di più toccante in Euripide, di più naturale (naif.) in Teocrito, di più grazioso in Bione. Possedere la lingua così precisa, così saillante, così maestosa degli antichi Romani. Possedere quel Cicerone, il maestro e il modello degli oratori, l’interprete e l’emulo de’ filosofi, quel Plinio panegirista diserto e ingegnoso scrittore; quel Sallustio sì fertile in espressioni energiche, ed in ritratti trappans.; quel Cesare, il più abile de’ capitani ed il più preciso fra gli storici; quel Tito Livio in cui la ricchezza del genio pareggia l’estension del subb.; quel Paterculo […]; quel Curzio che abbellisce ciò che racconta, e persuade ciò che immagina; quel Plauto che avea tutto il sale della comica poesia; quel Terenzio che ne avea tutto il buon senso, e tutta la verità; quel Virgilio, l’eroe dell’Egloga, l’inventore delle Georgiche, il perfezionatore dell’Epopea; quell’Orazio così sublime nelle sue odi, così delicato nelle sue Satire […]; quel Lucano, quel Claudiano, […]; quel Seneca pensatore, quel Plinio osservatore, quel Quintiliano precettore, quel Tacito censore, pittore, e indovino insieme. (Jouvenci. Piano di studi pe’ Professori Gesuiti)


Maestri che abbiano approfondito l’abisso della cronologia, misurato lo spazio della Geografia, aperto il tesoro dell’Erudizione. Maestri che associano il gusto alla dottrina, lo zelo al talento, il discernimento alla pietà, le maniere ai costumi, la moderazione alla fermezza, l’eguaglianza dell’umore alla dolcezza del carattere. Maestri che abbiano pe’ loro allievi, colla vigilanza di un Professore, la tenerezza di un padre, la benevolenza di un proteggitore, e lo zelo di un amico. Maestri che per ben condurre ciascun discepolo, si applichino a ben conoscerlo; che studino le sue forze per vedere ciò che se ne può esiggere [sic.]; i suoi talenti per giudicare in che debbano impiegarsi; i suoi bisogni per esaminare quelli cui è giusto soddisfare; il suo carattere infine per sapere fino a qual punto averne menager, o combatterlo. Maestri che siano esatti senza esser severi; […]; che fan plauso al coraggio perché applaudir non possono la vittoria; che sappiano del pari perfezionare ne’ loro allievi ciò che vi approvano, aggiungere ciò che vi desiderano, riformare ciò che vi condannino. Maestri che non debbano nulla decidere con leggerezza, né nulla intraprendere con precipitazione , né nulla eseguire con fougne, ma che in tutto debbano essere accompagnati dal sangue freddo, preceduti dalla riflessione, illuminati dalla preghiera. Maestri che maneggiano con successo i tre grandi ressorts dell’autorità, quello possente del timore, l’altro più possente della stima, l’altro ancor più possente dell’amore. In una parola maestri esercitati e provati in tutti i generi di utili cognizioni in tutti i generi di necessarie virtù, in tutti i generi amabili qualità.