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Ill.mo et R.mo Signore colendissimo.
Venirà forsi importuna questa mia lettera alle mani di V.S. Ill.ma et Rev.ma: ma deve escusarmi il credere et tener quasi per certo che per cavare alcuno d'errore sia necessaria l'auttorità sua nella risolutione d'un dubbio ch'ardisco proporli confidato in quella benignità spesso esperimentata da fratelli della mia religione con molta loro sodisfattione. Et è, se uno, che, dubitando haver acconsentito à un pensiero di peccato mortale, non può formar giudicio probabile per l'una nè per l'altra parte, sia obbligato di confessarsi di tal peccato, come di materia necessaria del sacramento; et se in questo caso quell'assioma "In dubiis tutior pars est eligenda" oblighi di precetto, ò pure sia solamente di consiglio. Si compiaccia V.S. Ill.ma et R.ma, per il zelo c'ha dell'anima redente da N'ro Sig.re, farmi scrivere quando più le piaccia, la sua opinione, et se la contraria possa tenersi per scandalosa ò temeraria; ch'io restando con obligo di pregar la Divina Maestà per l'adempimento de'suoi desiderii et humilmente inchinandomi co'l fine le baccio riverente le sacre veste. Di Venetia il di 14 novembre 1620.
Di V.S. Ill.ma et R.ma
Humile et devotissimo servo
Fra Claudio da Sacile Cappucino
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Si risponda che al caso proposto cosi in genere non pare che si possa rispondere se non con la regula generale che tutior pars est eligenda; perchè se forse quel pensiero non sia peccato mortale, non nuoce il confessarlo come peccato mortale con la debita contritione et accettar la penitenza; ma ben nuoce assai se forse sia mortale et il penitente non lo confessi ò non lo confessa con il debito dolore et pentimento. = Questo solo mi occorre di rispondere ad un dubio così generale, ma faria bene chi ha simili dubii trovare un confessore dotto et essercitato et explicargli tutte le circonstanze.