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Molto Ill.re sig.or Cugino, Tanto tempore vobiscum sum et non cognovistis me! Bisogna, che io usi le parole del Signore, poi che veggo che V. S. ha suspetti della persona mia, che non doveria in modo alcuno haverli, se mi conoscesse bene. Ho una sua, scritta alli 4 del presente, ma riceuta alli 17, et non so perche causa sia venuta cosi tardi. Nel principio V. S. scrive, che vole che il sig.or Marcello studii in Roma, se bene la spesa sarà grande alla sua debolezza. A questo dico, che la spesa non sarà tanto grande, che non si possa pagar tutta con la pensione, che io gl'ho data, perche non passarà dieci scudi il mese.
Aggiogne V. S. che sperava per mezo mio honorare la casa sua per mezo del signor Marcello. Cosi dissero li due discepoli, che andavano in Emaus; Nos autem sperabamus, mostrando, che non speravano più. Se V. S. sperava, che io salisse à maggior grado, et cosi inalzasse il sig.or Marcello, ha ragione di non sperare, perche io non sono degno di quello, che ho, non che di maggiore: ma se lei sperava nella mia buona voluntà, et hora non spera, lei sappia, che io sono il medesimo, ne mi è passato mai per pensiero il contrario, che se io non desiderasse giovare al sig.or Marcello, et alla casa, non haverei scritto, che vorrei vederlo eminente in qualche scienza, non per altro, che per haver'occasione di promoverlo, se viverò tanto. Scrive poi V. S. che io conoscerò co'l tempo, che il sig.or Marcello sia lontano da ogni soiamento e vitio, et che gli rendarò la gratia, dalla qua ella vede esser decaduto. Io voglio credere, et sperare, che il sig.or Marcello sia per mantenersi lontano da ogni soiamento et vitio. Ma V. S. non può negare, che la gioventù sia facile à cadere, quando sia spinta da male pratiche, et da gagliarde occasioni, della quali ne sono infinite in Roma, massime fra li scholari di legge. Ma che sia decaduto della mia gratia, questo non si può tolerare, ne so imaginarmi da che premesse V. S. deduca questa conclusione. Il sig.or Marcello che ha studiato la logica ne sia
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