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Illustrissimo et Reverendissimo D. Roberto Cardinali Bellarmino, Patrono suo summe Colendo, S. P. D.
Illustrissime et Reverendissime Cardinalis, ea est humani sensus imbecillitas, ut statim vires illius distrahi contingat, si pluribus simul intendendum: ea aciei mentis nostrae obtusio, ut dum serio quippiam agimus, reliqua tantisper aut negligenda aut seponenda sint Mirum itaque nemini videri debet, si Illust.ma V.ra Dom. privatam adhuc in Societate Jesu vitam agens, dum totus est in molimine turris quasi Davidica, ex qua mille clipei penderent, et omnis armatura fortium; opere inquam illo vastissimo Controversiarum Generalium nostri temporis, passa sit sibi excidere Conciones illas, quas obiter et quasi aliud agens, in celeberrima Lovaniensium Universitate pro suggestu maximo omnium ordinum applausu dixerat. Exciderunt quidem Parenti partus (quia ea facilitate in lucem dati, ut Concionum illarum Autographum etiam diligenter perquisitum, in scriniis vestris reperiri non potuerit;) non defuere tamen qui neglectam ita prolem obviis ulnis exciperent, in Musaea sua introducerent ac foverent; nam bonum semen benignam terram nactum, tam altas radices egit, ut plurimis jam non sufficeret Bellarmini Conciones audivisse, nisi etiam easdem tanquam assiduos monitores ac duces perpetuos, descriptas penes se haberent. Ex quo factum, ut earum varia Manusscripta Exempla tam in communibus quam privatis Belgii Bibliothecis exstiterint; imo etiam (quod Reverendissimae V.rae Dominat. notum est) transcensis Alpibus Romam pervenerint.
Multis igitur piis doctisque viris indignum est se visum est, tantum thesaurum à tam pauculis possideri et abscondi; sed publici juris eum faciendum esse contendebant. Quod ut per Typographum Coloniensem fieret, primus ab Illustrissima V.ra Dominatione doctissimus S. Theologiae Licentiatus Joannes Dulmenius obtinuit: quo ad Societatem Jesu abeunte, ego licet viribus illi impar, successi, et succisivis horis, eoque tempore quo à quotidiana Sacrae Theologiae professione

All’Illustrissimo e Reverendissimo Signore, Roberto, Cardinal Bellarmino, suo sommamente colendo Protettore, augura moltissima salute.
Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale, la debolezza dell’umano pensiero è tale che accade che le capacità di quello si dividano subito in parti, qualora debba volgersi contemporaneamente in più direzioni. La nostra mancanza di acume è tale che, mentre facciamo qualche cosa seriamente, il resto è per tutto il tempo o trascurabile o da mettere in disparte. Perciò a nessuno deve sembrare cosa straordinaria se tuttora vivendo l’Illust.ma Signoria Vostra la propria vita nella Compagnia di Gesù, mentre è dedita anima e corpo alla quasi davidica costruzione di una torre alla quale si appenderebbero mille scudi e ogni armatura dei coraggiosi, intendo dire a quell’opera davvero immensa delle Controversie Universali del tempo nostro, abbia resistito a privarsi di quelle Concioni, che incidentalmente e quasi facendo altro, nella celeberrima Università Lovaniense aveva, con plauso di tutti gli ordini, pronunciato dall’alto della tribuna. Certamente scomparvero i parti del Padre (poiché dati alla luce con facilità tale che l’autografo di quelle Concioni, anche cercato con diligenza ovunque, non si sarebbe potuto trovare nelle vostre cassette), non mancarono tuttavia coloro che la prole così negletta sottrassero con facile braccio, introdussero e conservarono nelle proprie biblioteche. Un buon seme, infatti, raggiunta per caso una terra generosa, sviluppa radici tanto lunghe che non sarebbe stato ormai sufficiente ai più l’aver udito le Concioni di Bellarmino se non avessero avuto anche le medesime scritte, a mo’ di consiglieri e guide perpetue. Da questo si verificò che come si trovarono diversi Esemplari Manoscritti nelle biblioteche sia pubbliche che private del Belgio, certamente essi (il che è noto alla Reverendissima Signoria Vostra), attraversate le Alpi, arrivarono anche a Roma.
È, in questa circostanza, indegno di molti uomini devoti e dotti che un così grande tesoro sia, sembra, posseduto e tenuto nacosto da pochissimi, ma essi si adoperavano altresì a che quello divenisse di diritto pubblico. Il primo, dottissimo licenziato nella Sacra Teologia dalla Illustrissima Signoria Vostra, Giovanni Dulmenio, ottenne che ciò si realizzasse grazie a un Tipografo di Colonia. Allontanatosi quegli dalla Compagnia di Gesù, potei succedere io, a colui non eguale per valore, e nelle ore di ozio e nel tempo durante il quale era lecito mancare alla quotidiana professione della Sacra Teologia,