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Molto ill.re e r.mo Sig.ore come fratello. Don Gio. dal Bosco, monaco Celestino, che con licenza di V.S.R.ma andò su l'armata del Sereniss.o Sig.or Gran Duca, mi scrive da Fiorenza queste formali parole: Florentiam rediens atque causam clari equitis Mancini, napotis tui, apud Serenissimum Magnum Ducem fortiter et ardenter agens, obstupui dum mirari se dixit ille serenissimus quod nepotem illius tuerer, qui de me ad illustrem Nuntium talia scripserit, quae si non notus essem atque probatus, mlhi famam eripuissent. Serenissimaque magna ducissasubridens intulit, Scis quod ob id quod nobis adfuisti, Cardinalis Bellarminus volebat Dominum Nuncium excommunicare, ac ea occasione quidquid de me scripseras, indicavit. Forse questo monaco si come dice il falso, che quel cavaliere Mancini sia mio nipote, non essendomi neanche parente, che io sappia, così dirà il falso del resto che riferisce delle parole dei sereniss.i G.duca, e G.duchessa, perchè io non ho avuto per male, che scrivesse alle loro altezze, essendo io stesso pronto a servirle con la propria persona, quando fosse buono, ma solo mi è dispiaciuto, che il soggetto non fosse tale, quale bisognava per tale impresa. Ne si è mai parlato di scomunicare un Nunzio Apostolico, non essendo in me ne autorità, ne volontà di tal cosa. E quello che io gli scrissi, fu per ordine di Nro Sig.re, il quale, forse non ricordandosi delle facoltà di V.S.R.ma, mi disse, che non credeva, che lei avesse tale autorità, e mi esortò a farne risentimento.
Quanto poi a quello, che ho scritto della vita di Don Gio. del Bosco, cioè che sia libero, e di poca edificazione, non credo, se ne possa dubitare, e lei ha da sapere, che in Francia è stato carcerato per cose gravissime, e tre anni fa, nel capitolo provinciale di Francia, fu risoluto, che se Don Gio. del Bosco fosse di nuovo caduto in qualche errore, fosse deputato a perpetua carcere
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