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Illustre, e Reverende Signore.
Ho letto la vostra lettera, e desidero, che leggiate la risposta con quella tranquillità d'animo, con la quale da me è scritta. Non mi maraviglio, che vi dispiace la sentenza, perchè questo è ordinario, che la giustitia dispiace a chi tocca; ma ben mi dispiace, che veggo nella vostra lettera una certa dottrina erronea, e pericolosa, che se fosse da voi difesa con pertinacia, bisognaria darne conto a più alto tribunale. Però mi tengo obligato a dimostrarvi la verità, la quale essendo dottore, bisognava, che molto prima avesse imparata.
Voi dite, che i canoni permettano, che vim vi repellamus, e che Sant'Ambrogio dice, che non in inferenda, sed in depellenda infuria lex virtutis est, e da questi canoni raccogliete, che l'ingiuria fatta da voi alla casa dell'arciprete sia giusta, perchè è fatta, se pur'è fatta, in difesa dell'ingiuria fatta a voi dall'arciprete.
Questo non è altro, che confondere la difesa, che è lecita, col la vendetta, che non è lecita, et un interpretare i canoni al rovescio. Vim vi repellere, et iniuriam depellere s'intende della violenza, et ingiuria futura, o imminente, non della passata, perche quando è passata, non ha più luogo la difesa, ma la vendetta, e chi vuol dire, che la vendetta sia lecita a gli huomini privati, è error manifesto. Onde Silvestro verbo excommunicatio 6, num.6 parlando della difesa, dice, ista tamen intellige statim, idest dum imminet, vel instat violentia adversarii, non autem postquam transiit. E poco avanti num. 5 6 quando non tangit clericum manu, vel instrumento manualiter tento, sed lapillo, vel sputo etc. dice, che toccare con lo sputo un clerico fà incorrere nella scomunica, e che se questo si faccia di poi, che si è ricevuta l'ingiuria, questa non è difesa giusta, ma vendetta prohibita.
Aggiongete poi che Moseè non vien condannato, ma commendato dell omicidio, che fece dell'Egizio, che ingiuriava l'Ebreo, perchè precesse
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