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Molto ill.re Sig.r fratello. Il mastro di casa tornando mi ha riferito, oltre le spese fatte in Torino, che si hanno da fare molte altre in restaurazioni di case e chiese nell'istesso luogo; e di più mi ha detto che oltre ai debiti, che V.S. scrive nella sua lettera, ci è un'altro con ms. Attilio Casini di cento dieci scudi, che pure toccherà a me di pagarlo, sebbene l'ha fatto V.S. e non io. Angelo ancora ha lasciato debiti in Siena, in Perugia e qui in Roma, con speranza che io li paghi; ma io non ho entrate sufficiente per tante cose. Io pagherò questo debito di cento dieci scudi al Casino e vedrò quanto prima di pagare gli altri cento scudi, che stanno a otto per cento, e così V.S. potrà disdire il censo. Quanto ai mille, che stanno cinque per cento, non potrò pagarli se non fosse pian piano, ciò è cento per anno, perchè io non ho denari se non molto pochi, e di quelli se n'ha da dare la decima al Papa, e probabilmente perderemo la provvigione che è la miglior entrata che abbiamo, e non posso di fatto serrare la borscia ai poveri, che sono in grandissimo numero e miserabilissimi per la grande carestia; oltre che non mi posso persuadere che sia suono pigliar denari a cinque per cento per comprarne stabili che rendano quattro per cento con molte fatiche.
Il debito con il cavaliere Vignanese non l'intendo, perchè V.S. non dice quanto sia quello che fu preso per la sua malattia, e dice che in pagamento fu data una cinta d'oro e non so che franzetta. Nei conti con il signor Giuseppe io resterò debitore, e così non si potrà scontare niente. V.S. non si metta più a far debiti senza prima darmene avviso, se lo fa con speranza che io li paghi, perchè voglio sapere in che cosa dispenso la roba della Chiesa. / A Maria non risposi, perchè non occorreva, massime avendo infiniti negozi. V.S. gli potrà dire che scrive bene per l'età sua e che attenda ad imparare. Di Roma, li 10 di febbraio 1607.
fratello aff.mo di V.S.
il Card. Bellarmino.