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giusta causa. Questo è falso, come dimostra Sant'Agostino nelle questioni sopra l'Esodo, e nel libro 22 contra Faust. cap.70. E se fusse vero, che fusse lecito a gli uomini privati ammazzare quello, che ha fatto ingiuria ad un'altro, tutta la republica andaria sottosopra, e i magistrati ci sariano per niente. Non fù dunque commendato, ne anco scusato in Mosè il peccato dell'omicidio, ma fù lodata l'indole di Mosè, come è lodata la fecondità della terra, che germina molt'erbe inutili, perch'è segno, che quando sarà coltivata, produrrà molt'erbe buone, e questo è l'esempio di Sant'Agostino, il quale ancora riferisce San Tommaso, approvando la sentenza di Sant'Agostino 2.2. quest.60 art.ult. Sò, che non ci mancano autori, che difendano il fatto di Mosè, non per la ragione che voi dite, perchè precesse giusta causa, ma perchè Iddio gli diede particolare autorità di far questo, e gl'ispirò, che lo facesse; o vero perchè Mosè difendendo l'Ebreo, combatteva coll'Egizio, e combattendo l'ammazzò, non potendo altrimente difendere il prossimo dalla morte imminente; e questa è l'opinione di Sant'Ambrogio libr.I de 0ffic.cap.36. E non credo, che voi direte di avere autorità da Dio di castigare l'arciprete, ne che Dio vi abbia ispirato di sputarli in faccia, ne che abbiate sputato per impedire, che esso non vi desse il pugno.
Terzo voi dite, che non credevate di essere incorso in scomunica, secondo i sommisti, avendo fatto quell'atto di sputare addosso all'arcidiacono, per difesa dell'onore. Vorrei sapere, dove dicano questa cosa i sommisti, perchè io ci trovo il contrario; e l'ingiuriare il prossimo per difesa dell'onore, cioè per vendicarsi dell'ingiuria ricevuta, è regola del mondo, e de duellisti[1], ma contraria alla regola di Dio, et è peccato manifesto. Onde dice San Paolo ad Roman., non vos defendatis charissimi, sed date locum irae; scriptum est enim, mihi vindicta, et ego retribuam, e San Pietro aggionge: Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum,


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  1. P. 24 dell'Indice della Istoria del Concilio di Trento di Pallavicino Sforza.
    Si veda a questo riguardo il decreto di riforma generale del Concilio di Trento, capitolo XIX: "L’usanza dei duelli, - introdotta dal diavolo, perché con la morte sanguinosa dei corpi consegua anche la morte delle anime -, sia del tutto proscritta dal mondo cristiano. A questo riguardo, l’imperatore, i re, i duchi, i principi, i marchesi, i conti e gli altri signori temporali comunque essi vengano chiamati, che concedessero un luogo, nelle loro terre, per queste singolari tenzoni fra i cristiani, siano senz’altro scomunicati e privati di ogni giurisdizione e di ogni dominio su quella città, castello o luogo, nel quale o presso il quale permettessero il duello, qualora li avessero da parte della chiesa; se fossero feudali, ripassino subito sotto il dominio dei loro diretti signori. Quelli che combattono e i loro così detti "padrini" incorrano nella scomunica e nella proscrizione di tutti i loro beni e nell’infamia perpetua; e dovranno esser puniti, secondo i sacri canoni, come omicidi; e, se morissero durante il combattimento, essere privati per sempre della sepoltura ecclesiastica. Anche quelli che nel caso del duello dessero il loro consiglio, sia in teoria che in pratica o in qualsiasi altro modo persuadessero qualcuno a ciò; ed inoltre gli spettatori, siano legati dal vincolo della scomunica e della maledizione eterna. Ciò, non ostante qualsiasi privilegio, o qualsiasi perversa consuetudine, anche immemorabile."